Non profit
Valgono sempre di più. Anche in termini economici. E adesso ce lo dice persino l’Ocse
di Redazione

Pare che la fruizione culturale faccia bene alla salute, con tanto di prove mediche a supporto. E che un buon sistema di servizi sociali faccia star meglio non solo chi ne usufruisce direttamente, ma l’intera comunità in termini di coesione sociale e addirittura il sistema economico che vede aumentata la sua competitività. Anche in questo caso, dati alla mano. E allora come mai cultura e welfare sono i capitoli di spesa che si preferisce tagliare, soprattutto nel nostro Paese?
Le ragioni sono molte, spesso non esplicite. Meccanismi pavloviani che rispondono a un’ideologia secondo la quale welfare e cultura rappresenterebbero mere voci di costo e non voci di investimento. Prevale quindi la disattenzione rispetto ai benefici creati. Da questo punto di vista, un aspetto spesso citato ma altrettanto spesso scarsamente riconosciuto, sia in campo culturale che sociale, riguarda il contributo del lavoro volontario. In qualche caso lo considera residuale e in qualche altro una sorta di “dumping” rispetto agli interventi professionali. Eppure, senza voler nascondere o sottovalutare limiti e, in qualche caso, veri e propri abusi, il volontariato è, o lo si dovrebbe considerare, una componente strutturale del modello di produzione culturale e di protezione sociale. Basti pensare che di recente l’Ocse ? non propriamente un’organizzazione volontaristica ? ha pubblicato un rapporto sulla co-produzione di servizi pubblici, tra i quali quelli sociali e culturali, attraverso la promozione di partnership con i singoli cittadini e le organizzazioni della società civile. E, su tutt’altro fronte, è ormai sotto gli occhi di tutti i naviganti che la produzione di contenuti nel web avviene grazie a contributi volontari. Da Wikipedia passando per “Yahoo answer”, fino a modalità più sofisticate di crowdsourcing. Ci si può lamentare della disorganicità dei contenuti, ma il tutto a fronte di benefici evidenti legati, tra l’altro, a una maggiore consapevolezza e protagonismo delle persone e al conseguente ridimensionamento delle quote di potere dei vari gatekeepers, siano essi istituzioni, comunità professionali e scientifiche.
Forse quel che davvero manca è un sistema di governance degli apporti volontari, in grado di responsabilizzare e insieme di tutelare chi interviene in questa veste. Le forme giuridiche attuali di tipo non profit scontano un approccio da era moderna, dove il volontariato era, ed è, tutto quel che rimane dopo che si sono regolati i rapporti con lo Stato e il mercato. Non a caso si tratta spesso di istituzioni associative e di club direttamente o indirettamente legate alla logica del “tempo libero”. Nella contemporaneità non è più così, ormai lo si sa bene. Persino consumare, attività per eccellenza dell’era capitalistica figlia delle transazioni di mercato, ha sviluppato al suo interno apporti volontaristici, ad esempio in sede di valutazione e di miglioramento della qualità dei beni e dei servizi.
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