Non profit

A 87 anni anch’io mi scopro disabile

di Redazione

«Come fa a sentire il campanello della porta chi, anziano, non ci sente più tanto bene?» Da questa banale osservazione Zygmunt Bauman affronta di petto un tema politicamente scorrettissimo: la spinta della nostra società a mettere al bando chi non è “normale”. Ovvero non risponde ai criteri stabiliti dalla maggioranza”Normalità” è il nome elaborato ideologicamente per significare maggioranza. Cos’altro può significare, “normale”, se non il fatto di ricadere in una maggioranza statistica? Parlo di maggioranze e minoranze perché l’idea di normalità presuppone che alcune unità di un totale complessivo non siano conformi alla “norma”. Quindi l’idea di “norma” e “normalità” implica una dissimiglianza, una difformità. La “elaborazione ideologica” che ho menzionato si riferisce alla sovrapposizione del “si deve” sull'”è”: non soltanto le unità di un certo tipo sono in maggioranza, ma esse sono come “dovrebbero essere”; sono “giuste e appropriate”; al contrario, quelle che difettano dell’attributo in questione sono come “non dovrebbero essere”, “sbagliate e inappropriate”.
Il passaggio dalla “maggioranza statistica” (un’enunciazione di fatto) alla “normalità” (un giudizio di valutazione), e dalla “minoranza statistica” alla “anormalità”, attribuisce una differenza di qualità alla differenza nei numeri: essere in minoranza significa anche essere inferiori. La questione della “normalità versus anormalità” è la forma in cui la questione della “maggioranza versus minoranza” viene assorbita/addomesticata, e conseguentemente fissata, nella costruzione e nella preservazione dell’ordine sociale. Sospetto perciò che “disabilità” e “invalidità”, quando si riferiscono al trattamento delle minoranze umane come inferiori, siano parte integrante della più vasta questione “maggioranza versus minoranza” ?98 e quindi in definitiva un problema politico. Questo problema si focalizza sulla difesa dei diritti delle minoranze che i meccanismi democratici esistenti, basati come sono sull’incorporazione maggioranza nel diritto di assumere decisioni vincolanti per tutti, sembrano essere incapaci di affrontare, gestire e risolvere definitivamente la questione.

Una questione di ordine pubblico
Nella famosa storia di H.G. Wells Nel Paese dei Ciechi (1904) la questione viene posta ed esplorata acutamente: in una società di ciechi, un orbo sarebbe stato re, come credeva la persona che si avventurò nella vallata per fuggire dalla società di chi vedeva con entrambi gli occhi, in cui essere orbi veniva considerato un difetto avvilente? Se fosse stato davvero re in una società di ciechi, la tacita assunzione sottesa alla nostra società (che la superiorità dei vedenti sui ciechi è un verdetto della natura, piuttosto che una creazione socioculturale) sarebbe stata confermata, rinforzata, forse addirittura “provata”. Ma ciò non avvenne. Lo straniero con un occhio solo non venne acclamato come un re da adorare e a cui obbedire, venne visto invece come un mostro da aborrire e scacciare! Nella “normalità” fatta nella valle su misura per i suoi abitanti che avevano avuto il destino di essere ciechi lui, l’orbo, era portatore di una minacciosa anormalità. Il che spiega che l’anormalità non viene vissuta come repellente e minacciosa a causa della sua intrinseca inferiorità, bensì per il fatto che contrasta l’ordine stabilito per aderire ai bisogni / costumi / aspettative dei “normali” ? vale a dire, della maggioranza. Alla fin fine, discriminare ciò che è “anormale” (ovvero la condizione della minoranza) è un’attività posta in essere per difendere e preservare l’ordine, una creazione socioculturale.
Nella sua storia in due romanzi distinti, Cecità (1995) e Saggio sulla lucidità (2004), José Saramago ha sviluppato ulteriormente questo argomento. Nel primo romanzo, un’inesplicabile cecità affligge l’intera popolazione della città con l’unica eccezione di una donna, sulla quale gli orrori della nuova “norma”, che sospende e invalida tutte le regole del vecchio ordine, si focalizzano. Le menti terrificate dei ciechi, che sono la maggioranza, finiscono per considerare l’unica persona che ha conservato l’uso della vista, diventando in tal modo la “minoranza”, una causa, forse la causa principale, del loro miserabile destino. Nel secondo romanzo la città è totalmente guarita dalla peste della cecità, ma è afflitta da un disastro parimenti inesplicabile che si è abbattuto sull’ordine sociale: il rifiuto dell’elettorato di esprimere la propria preferenza, e quindi di mantenere vivo il presupposto stesso della democrazia, in un modello attualmente vincolante di ordine. Tutte le forze della polizia segreta vengono così mobilitate per dare la caccia, e neutralizzare, quell’unica donna che durante il flagello della cecità non aveva perduto la vista… Anormali una volta, anormali per sempre; anormali rispetto a un singolo aspetto, anormali in tutto; e non una minaccia a un ordine specifico, bensì all’ordine in quanto tale. Alla fine, tutto ruota intorno all’ordine.

La società pensata per altri
I vari tipi di ordine sono tagliati su misura delle maggioranze, e così i pochi che nicchiano o si rifiutano apertamente di obbedire si ritrovano a essere una minoranza, agevole da sminuire come una “deviazione marginale” ? e perciò facili da individuare, localizzare, disarmare e sopraffare. Selezionare, designare e isolare come una “frangia di anormalità” è il necessario fattore concomitante della costruzione dell’ordine e il costo inevitabile della sua perpetuazione.
Il mondo abitato viene strutturato in modo da essere ospitale ? conveniente e confortevole ? per i suoi abitanti “normali”: le persone che costituiscono la maggioranza. Le automobili devono essere equipaggiate con luci e trombe che avvisino del loro arrivo ? strumenti di nessuna utilità per i ciechi e i sordi. Le scale, che hanno il compito di facilitare l’ascesa verso i luoghi elevati, non sono di alcun aiuto per le persone relegate su sedie a rotelle. Io stesso, nella mia età avanzata, avendo ormai perso la maggior parte del mio udito, non posso più essere allertato dai telefoni o dal campanello di chi suoni alla mia porta.
Questi esempi si sono riferiti finora alle disabilità fisiche ? che in una società solidale potrebbero essere sanati da trattamenti medici e mitigati da strumenti tecnologici. Non esistono però le sole disabilità fisiche, vi sono altre disabilità molto più diffuse, anche se in questi casi i loro poteri disabilitanti vengono spazzati sotto il tappeto, ipocritamente negati o altrimenti ignorati e dissimulati. Non sono problemi medici o tecnologici ma politici. Per esempio, gli handicap causati alle persone che non possiedono un’automobile cancellando, come “improduttivi” (e per ciò stesso di peso ai cittadini “normali” che pagano le tasse), molti percorsi degli autobus o chiudendo uffici postali o filiali bancarie “non remunerative”. Vi sono, specialmente nella nostra società dei consumi, consumatori “squalificati”, a corto di denaro, a cui non si fa credito, e a cui perciò si nega la possibilità di raggiungere gli standard di “normalità” stabiliti dal mercato e misurati dal numero di cose possedute e dagli atti d’acquisto. E, circostanza ancora più importante, vi sono grandi quantità di giovani fisicamente prestanti in età scolare, disabilitati nei loro tentativi di raggiungere gli standard posti dal mercato del lavoro dal fatto di essere nati e cresciuti in famiglie i cui guadagni sono sotto la media o in quartieri deprivati e trascurati… Famiglie che vivono in povertà (anche in questo caso una condizione misurata da standard di “normalità” che, posti in termini socioculturali, sono i fornitori più prolifici di studenti deboli o “ritardati”). In questi casi sarebbero necessari equivalenti politici degli strumenti medici o tecnologici usati per compensare le disabilità fisiche. Questi mezzi esistono senz’altro, ma la loro disponibilità o la loro assenza dipende solo in piccola parte dalle scuole e dagli insegnanti. La diseguaglianza delle opportunità educative è qualcosa che soltanto le politiche statali possono affrontare e risolvere in modo netto e preciso. Finora, comunque, le politiche statali sembrano più propense alla latitanza che a mettersi in gioco con serietà per risolvere questo enorme problema.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.