Non profit
In Italia chi fa versi è vittima della congiura del silenzio
L'analisi dell'editore Nicola Crocetti
di Redazione
«Quando si dice “la poesia non paga”, per dire la verità, bisognerebbe aggiungere “in Italia”. Negli Stati Uniti, o in Inghilterra, paga eccome. È un fatto culturale, più che economico». Nicola Crocetti, che nel 1981 ha fondato la Crocetti Editore, la più celebre casa editrice italiana che si occupa di poesia e che edita la rivista Poesia, ha l’animo da poeta ma il raziocinio da imprenditore. E sulla “resa” anche economica di chi campa di versi ha molto da dire. Perché il Paese di Dante e Petrarca fatica a dare uno stipendio ai suoi poeti? «Lo stipendio i poeti, quelli almeno mediamente noti, se lo ricavano. Ma male. L’Italia è forse il Paese con più premi letterari al mondo: ogni località turistica ha il suo premio di letteratura. Migliaia di piccoli premi con importi bassissimi, giusto perché il posto di mare o di montagna deve farsi un po’ di pubblicità. E così i poeti che mettono in fila una quindicina di questi premi all’anno un se pur magro stipendio se lo garantiscono. Ma così si finisce per svilire il proprio lavoro, oltre che il valore dell’essere premiato. Negli Usa i premi letterari mettono in palio riconoscimenti da 50, 100mila dollari. E premiano sì il poeta noto, quello che poi va sui giornali, ma anche i giovani emergenti. Coltivano il vivaio». Il campanilismo italiano, insomma, non paga, in tutti i sensi. «Non solo», continua Crocetti. «Nei paesi anglosassoni i poeti vengono chiamati per insegnare in università prestigiose; in Italia faticano a trovare un posto al concorso per le scuole medie…».
Ma il problema vero è la «mancanza assoluta» di spazi di comunicazione che i media dedicano alla poesia. «Possibile che i tg fanno servizi su cantautori di terza categoria che lanciano il loro cd, e mai ho visto dare spazio all’ultimo libro di un grande poeta? Ancora: per i grandi editori la collana di poesia è il fiore all’occhiello, non possono non averla. Ma poi fanno microtirature, non mettono un euro sulla promozione, lo scaffale della poesia nelle librerie è sempre l’ultimo in fondo…». Non sarà forse anche un po’ colpa dei poeti, che parlano un linguaggio troppo lontano, incomprensibile al vasto pubblico? «E allora mi spiega come mai ci sono centinaia di migliaia di persone che vanno a vedere mostre di artisti contemporanei di cui non capiscono un’acca? Eppure ci vanno, perché andare alla mostra di Pollock, per dire, fa figo. Al reading di un poeta, no».
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