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Tibet: il viaggio di Norbu quando l’esilio è la sola speranza

di Redazione

Questa è la storia di Norbu, un ragazzo come tanti, cresciuto in Tibet nella regione Kham. Come molti suoi coetanei, Norbu non può permettersi di pagare la retta scolastica, perché troppo cara per i tibetani. Anche se potesse, sceglierebbe di non frequentare la scuola. Le lezioni infatti si svolgono in cinese, e più che scuola è propaganda: idealizzazione della grandezza dell’impero e divieto di qualsiasi pratica religiosa. Norbu sogna di raggiungere l’India per poter studiare e incontrare Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama.
Così all’età di 14 anni, il ragazzo decide di scappare, senza dir niente alla madre: tre giorni di viaggio per raggiungere Lhasa. Lì, grazie all’aiuto di suo zio, riesce ad organizzare la sua fuga pagando 1.500 yuans (circa 150 euro) a due guide tibetane. Dopo aver trascorso più notti di rotta in bus, Norbu e i suoi 70 compagni per 13 giorni camminano giorno e notte per superare le postazioni cinesi. Fa freddo, il cibo è razionato. Giunti all’altezza del passo Nangapa, alcune pattuglie cinesi in motocicletta arrivano sul luogo, sparano. Un uomo viene ferito gravemente, e una monaca del gruppo uccisa. Norbu e compagni vengono portati di forza al campo militare più vicino. Lì vengono interrogati, picchiati. Il ragazzo viene condannato a 90 giorni di detenzione per “atti di cospirazione”.
Poi viene rilasciato sotto tutela di suo zio, a Lhasa. Lavora e, messi da parte un po’ di soldi, ci riprova. Questa volta il gruppo è ridotto, lo guidano dei pastori. Arrivati al “ponte dell’amicizia” che segna il confine con il Nepal, il gruppo indossa abiti tradizionali nepalesi per passare inosservato al controllo delle guardie. Da lì arrivano al centro per rifugiati di Kathmandu. È fatta.
Oggi Norbu studia in uno dei Tibetan Children’s Villages a Suja, uno dei villaggi creati a partire dal 1960 sotto la guida del Dalai Lama e di sua sorella Jetsun Pema a seguito dell’importante esilio tibetano. In totale se ne trovano 15 sparsi in tutta l’India e accolgono circa 20mila ragazzi di tutte le età, come Norbu scappati dal Tibet nella speranza di vivere una nuova vita. I ragazzi vivono in case e vengono seguiti da Ama (mamme tibetane). Ricevono un’istruzione completa: lingue (inglese, hindi, tibetano), scienze, filosofia buddista, sport e musica.
L’altruismo è uno dei gran motori del centro, i ragazzi imparano sin da subito a condividere e vivere in comunità come se si trattasse di una grande famiglia. Finito l’ultimo anno di scuola, gli studenti più meritevoli ottengono una borsa di studio per continuare gli studi universitari. Altri scelgono invece una formazione artistica (scultura del legno, lavorazione dei tappeti o pittura) in uno dei Tcv handicraft per poi aprire una piccola attività commerciale. Una gran parte di questi ultimi tornano poi a lavorare per dar man forte al Centro sostenendo a loro volta i nuovi ragazzi arrivati dal Tibet. Il risultato è impressionante: cinquant’anni di lavoro e impegno per costituire basi solide per la salvaguardia di questa cultura attraverso le nuove generazioni.

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