Sarà un chiodo fisso, ma da decenni le cooperative hanno in testa una cosa sola: essere utili al territorio, ai soci, alla collettività. Un obiettivo per perseguire il quale hanno via via inventato modi di fare (il mutualismo ottocentesco, antico e ancora così promettente) e modi di essere (le sociali ad esempio, nate ben prima della legge istitutiva). Non vi è dubbio però che nell’anno che l’Onu ha dedicato alla cooperazione e nel corso di una crisi economico-finanziaria che dura da quattro anni, si profilino nuove impegnative sfide anche per il sistema cooperativo. A differenza di altri settori, la cooperazione italiana ha continuato a “tenere”. Anche nel 2011, le 43mila imprese che fanno riferimento all’Alleanza delle Cooperative (in pratica il 90% delle cooperative nostrane, con un fatturato aggregato di 127 miliardi e 12 milioni di soci) hanno continuato a creare occupazione, segnando un bel +5,5% rispetto al 2010 e raggiungendo così la bella cifra di 1,2 milioni di addetti (che nell’85% dei casi hanno un contratto a tempo indeterminato e che per più della metà sono donne). Un risultato possibile anche grazie alla scelta, difficile ma che fa la differenza, di ridurre anche significativamente gli utili pur di salvaguardare le risorse umane.
Ascoltare i nuovi bisogni
È una costante del movimento cooperativo questa capacità di immaginare nuove soluzioni rispetto a bisogni in continuo cambiamento. «Li sappiamo intercettare proprio perché siamo costantemente presenti e radicati nel territorio, all’ascolto delle persone e osservando i cambiamenti sociali», ragiona Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà Confcooperative. È vero. Cambiando il disagio, ad esempio, si è modificata la proposta delle cooperative sociali di tipo B, che hanno pensato agli agriturismi o al turismo sociale come occasioni di nuovi inserimenti lavorativi (tant’è che oggi si rilancia l’ipotesi di aggiornare le forme di disagio riconosciuto dalla legge). Allo stesso modo, di fronte a borghi che andavano spopolandosi, sono nati percorsi innovativi che hanno prodotto le cooperative di comunità. Ancora, si sono strutturate quelle azioni che hanno rilanciato in forma cooperativa aziende profit sull’orlo del fallimento o addirittura già chiuse. «L’essenziale», prosegue Guerini, «è dotarsi di più strumenti: se ho solo un martello, tenderò a trasformare tutti i problemi in chiodi». Cioè a fare il contrario di quel che serve in momenti difficili come l’attuale. Che è piuttosto una fase in cui si deve distinguere, personalizzare per dir così le soluzioni, cucirle quasi a misura. Alla lettura del territorio si possono affiancare le soluzioni proposte localmente come fa l’Atlante della cooperazione, approntato da Federsolidarietà per diffondere le buone pratiche, integrandole con studi di fattibilità su possibili riforme (il Libro bianco sul Welfare, la riforma della non autosufficienza). «Sono tutte azioni di ricerca», prosegue Guerini, «che mirano a integrare riflessioni teoriche ed esperienze sul campo, tenendo conto di una pluralità di livelli e prospettive».
Un’integrazione che consente di affrontare la complessità a tutti i livelli. Prendete ad esempio le cooperative fra professionisti. Sono una novità introdotta dal primo gennaio 2012 e diventeranno operative quando saranno pubblicati i decreti attuativi. Offrono un’opportunità in più specialmente per i giovani che si affacciano sul mercato e rispondono a diverse esigenze (ad esempio di patrimonializzazione). «Tante saranno multiprofessionali, cioè formate da competenze diverse che, se bene integrate, potranno offrire consulenze di qualità», prevede Mauro Fiengo di Legacoop, «contribuendo così a migliorare il mercato dei servizi e al tempo stesso rendendo più a portata di mano occasioni di autoimprenditorialità». Molteplici punti di vista, è quanto auspica anche Guerini: «Per continuare a innovare, è importante che nella base sociale della cooperativa ci siano anche i diversi portatori d’interesse. In questo modo potranno esprimere le nuove esigenze e collaborare a trovare soluzioni originali».
Nuovi ambiti
È appunto il ruolo e la funzione del vero capitale sociale. Quello che sostanzia il confronto e alimenta la voglia di mettersi in gioco. Quello stesso che viene valorizzato dalle cooperative di comunità (la cui prossima sfida è trovare soluzioni su misura per le aree metropolitane, e non solo per i borghi) e che potrebbe essere determinante per le cooperative di utenza. Una innovazione sulla quale vale senz’altro la pena di puntare. Grazie a queste imprese partecipate si potrebbe dare «un importante contributo al superamento dei monopoli e degli oligopoli delle multiutilities», come sottolineano i vertici di Alleanza delle cooperativa italiane (che ha appena annunciato ulteriori passi avanti nel processo di unificazione). «Dovrebbe far riflettere il fatto che in Italia, a differenza di altri Paesi, non si sviluppano nuove forme di cooperazione di utenza di grande impatto sui mercati». Negli Stati Uniti, ad esempio, gran parte dell’elettricità viene gestita da questo tipo di cooperative. Con ottimi risultati in termini di concorrenza, servizio e prezzi. Da noi la strada delle liberalizzazioni è appena iniziata. C’è da augurarsi che prosegua mettendo “a reddito” lo strumento cooperativo.
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