Non profit

Creare lavoro è la nostra prima sfida

Giuliano Poletti, presidente di Legacoop

di Redazione

Quanto cambiano i bisogni? Certo evolvono le risposte, gli strumenti con cui analizzare le esigenze ed elaborare strategie complessive, ma «i bisogni essenziali non tramontano: sono sempre all’ordine del giorno», sottolinea Giuliano Poletti, presidente Legacoop.
Qual è il primo che le viene in mente?
Quello di lavoro, ad esempio, al quale il sistema cooperativo dà continuamente risposte, anche in forme nuove. Come le cooperative tra professionisti. O come quelle imprese cooperative nate dalla crisi delle aziende. Una trasformazione che riguarda un numero non banale di imprese e di lavoratori.
Individua altre frontiere del bisogno?
I servizi, l’assistenza. Oggi sono sempre più in discussione. Ed occorre trovare forme nuove capaci di tenere insieme i bisogni dei cittadini e le possibilità del pubblico. Non è un caso che stiano tornano le mutue, uno strumento delle origini che oggi ha una rinnovata validità. Nella stessa direzione vanno quelle esperienze di auto-organizzazione come ad esempio le cooperative di comunità, che rispondono al desiderio dei cittadini di mobilitarsi nella tutela e nel presidio del loro territorio. Oltre ad evitare l’abbandono, si creano posti di lavoro là dove né lo Stato né il mercato sono in grado di dare una risposta.
Oggi qual è la cifra dell’innovazione cooperativa?
Direi la capacità di assumere più bisogni ed esperienza, elaborando risposte in più direzioni. Quando ci si occupa di energia rinnovabile, ad esempio, si lavora per la sostenibilità ambientale, si creano opportunità di lavoro per i giovani, si contribuisce a diffondere una certa sensibilità e a ridurre il fabbisogno energetico nazionale. Una complessità che si registra in molti campi e che va sostenuta e aiutata.
In che senso?
Le faccio un esempio: molte associazioni si occupano di cooperazione allo sviluppo e realizzano prodotti in tal senso. Penso alle Botteghe del mondo, a Libera, al WWF. Sono prodotti rispetto ai quali ci sarebbe da immaginare un progetto di integrazione che sappia costruire relazioni fra queste diverse attività. Uno store della legalità e della solidarietà, ad esempio. Si darebbe così maggior efficienza a realtà già operanti, si stabilizzerebbe l’occupazione, si allargherebbe l’ambito dei prodotti, si lavorerebbe a una sostenibilità di lungo periodo. Nello stesso tempo si offrirebbero risposte che non alimentano l’incremento esponenziale dei consumi. Operazioni meno spettacolari di altre, per le quali servono più giocolieri, persone che abbiano la pazienza di compiere un percorso.

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