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Nel fortino assediato di Golos, la voce che Putin vorrebbe spenta

di Redazione

Faccio una domanda da giovane e stupida cronista: «Oltre all’arresto all’aeroporto di Mosca Sheremetevo di Lilia Shibanova, responsabile della vostra ong, all’epoca delle elezioni parlamentari e alla distruzione del suo computer, altre intimidazioni sono state subite dai membri della vostra organizzazione?». La risposta non si fa attendere ed è lunga quattro pagine: è una lista, una semplice e interminabile lista, dove caso per caso, regione per regione, centinaia di giornalisti, membri, studenti o semplici collaboratori dell’unica ong che si occupa di monitorare la credibilità e la trasparenza del voto in Russia, sono stati minacciati, arrestati, picchiati, licenziati per aver denunciato le pressioni, le manipolazioni, le falsificazioni dei voti durante le ultime elezioni di dicembre per la Duma, nel Paese di quello che ormai sempre più persone chiamano “lo zar”.
Ad Astrakan, come a Voronezh, come ad Irkutzk, come a Tomsk: uffici con telefoni scollegati, connessioni internet tagliate, arresti immotivati. O ancor peggio: pedinati e malmenati altri collaboratori per le strade di tutto il Paese, da Pietroburgo alla Siberia, mentre il premier sorrideva dall’alto dei manifesti elettorali che annunciavano «vmeste pobedim», uniti vinciamo. Il nome dell’associazione di cui questi cittadini fanno parte, Golos, ha un doppio significato: soprattutto “voce” ? ma pure “grido” ? ed anche “voto”, meglio “diritto di voto”. È il nome scelto da un pugno di giornalisti, avvocati e cittadini, russi e coraggiosi, nel 2000 a Mosca per uno scopo preciso: «Elezioni libere, proprio come nel resto del mondo».
Nessun russo crede che il voto non sia manipolato e uno su quattro si informa esclusivamente dal web, ma ciò non significa affatto che lo zar crolli e abbandoni il potere. Ma neppure che si torni al risultato standard della vecchia scuola russa, ovvero che nulla cambi. Intanto sono chiamati a raccolta i nashi, i giovanissimi putiniani, e a Ria Novosti, la maggior agenzia di stampa in Russia, è vietato «pubblicare notizie che potrebbero nuocere al presidente o al partito Russia Unita».

Attacchi amministrativi
No: non bastano le migliaia di blog di sempre più cittadini russi che denunciano brogli e abusi di potere del governo, non basta l’attenzione dei media stranieri per le prossime presidenziali del 4 marzo, «nonostante il ruolo cruciale giocato dai social network e internet in generale», dice Andrej Butrin, direttore per il monitoraggio delle elezioni di Golos, l’ong che ha talmente spaventato Putin e i suoi che, seguendo i metodi della vecchia scuola sovietica, hanno deciso di farla tacere. E senza neppure nasconderlo. Sfrattati dalla loro sede di Mosca, senza preavviso e senza motivo, e comunque in precedenza privati dell’energia elettrica “per oscuri motivi di manutenzione” fino al 6 marzo, ovvero due giorni dopo l’apertura dei seggi elettorali per la scelta del nuovo presidente, i membri di Golos tengono duro e sorridono. Perché nonostante «Putin cerchi di fermarci attraverso risorse amministrative, organi di governo, multe di migliaia di rubli (l’ultima ammonta a circa 800mila euro), divieti e attacchi degli hacker al nostro sito», come spiega ancora Butrin, «alle prossime elezioni, che si preannunciano comunque imprevedibili, la situazione dovrà cambiare».

Ottimismo e minacce
Ne è convinta Lilia Shibanova: «La situazione è degenerata dopo il 4 dicembre, ma si afferma una certa forma di ottimismo. Le prossime elezioni dovranno essere più trasparenti, perché un numero di cittadini sempre più ampio presta attenzione al risultato ma anche al processo elettorale. I segnali che ci giungono dagli organi di governo, però, non sono tra i più confortanti: le provocazioni contro i nostri attivisti, la cattiva pubblicità contro di noi, sono solo poche delle tante difficoltà con cui continuiamo a convivere».
Sì, finalmente, uno spettro si aggira per la Russia ed è lo spettro del dissenso: dopo quasi un ventennio di regno indisturbato, lo zar deve confrontarsi adesso col volto inedito e coraggioso di una giovane e nuova Russia, una Russia Unita sì, ma contro di lui. Lui, che tiene strette le redini del governo russo da 17 anni, segretamente prima, pubblicamente poi. Eppure non ha la stessa potenza retorica degli anni passati, la stessa forza intimidatoria che ha reso possibile la durata del suo governo liberticida, che si palesa adesso nella sua totale crudeltà e cattivo gusto: «Mi informo sulle ragioni dei contestatori, mi piace Kipling, mi interessa il popolo delle scimmie», ha recentemente dichiarato al tg russo l’amico fidato di Silvio Berlusconi. Loro, i giovani delle piazze della capitale, sarebbero ? nella visione del premier, dal retrogusto di guerra fredda ? sobillati dagli Stati Uniti: «Gli Usa ci temono, impediamo loro di governare il mondo, guardate cosa hanno fatto a Gheddafi».

Nuovi registi
Putin, che giura di far sistemare webcam nelle cabine elettorali per garantire trasparenza, e di mollare la politica in caso di sconfitta, è corso ai ripari assumendo nuovi registi per la sua campagna elettorale, nuovi image maker per le sue mussoliniane e machistiche maratone a dorso nudo sotto i fiocchi di neve. Ma è caldo d’inverno a Mosca, perché mentre infuria il buran, vento gelido che arriva dall’altopiano siberiano, anche qui è primavera di piazze in odore di libertà.

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