Giocando di furbizia e con un furto della Costituzione, l’uomo nega ormai tutto. Sembra non avere più ricordi. Ascolta soltanto chi gli propina verità che si vuole sentir dire. In attesa di essere riconfermato al potere da una parte infima di un Paese che non lo ascolta più. Il 26 febbraio, il Senegal organizzerà quindi un’elezione presidenziale che sa tanto di referendum contro Wade e i suoi “nuovi amici”. Un gruppo di transumanti che il popolo vorrebbe cacciare, ma che il presidente uscente ha riciclato in “ministri” o “consiglieri”. La sfida mette a confronto uno Stato debole e corrotto contro una nazione che parla con una sola voce di pace e unità. Ecco il Senegal auspicato dai movimenti di protesta come il Movimento 23 giugno (M23) che raggruppa oppositori politici e rappresentanti della società civile, oppure i rapper senegalesi di Y’en a marre, fino al cantante Youssou N’Dour che ha annunciato la sua candidatura con lo slogan «Féké maci bollé» (che in wolof significa “come testimone della storia, non posso lasciar fare”). In questa fase traballante della storia politica senegalese, il caso di N’Dour riflette la nascita di un nuovo Senegal, che vuole vivere appieno una democrazia pacifica e serena, e non soccombere a una dittatura che non dichiara il suo nome.
Rabbia e disincanto
Ma dopo le batoste subìte nelle elezioni regionali e locali del marzo 2009, il partito presidenziale (il Partito democratico senegalese, Pds) non intende più seguire le regole che stanno alla base di qualsiasi elezione trasparente. Solo così si spiega la scelta dei cinque saggi e amici di Wade che compongono il Consiglio costituzionale, di rifiutare la candidatura di N’Dour avvalorando nel contempo quella del presidente uscente. Di fronte alla rabbia dell’opposizione, il Pds perde la sua prima battaglia reprimendo con il sangue la manifestazione tenutasi il 27 gennaio scorso a Dakar, sulla place de l’Obélisque.
Anziché gettare acqua sul fuoco, il presidente uscente alimenta le tensioni definendo l’opposizione e l’M23 «codardi che sfruttano i giovani invece di lottare legalmente nell’arena politica». Peggio, Wade riduce la rabbia che dilaga nel Paese a «una semplice brezza passeggera». Senza sorpresa, la campagna elettorale iniziata il 5 febbraio si sta svolgendo in un clima politico esecrabile. Lo scontento della popolazione è tale che l’eliminazione del Senegal alla Coppa d’Africa di calcio è passata letteralmente inosservata nei giornali.
Il Vecchio, così Abdoulaye Wade viene soprannominato nel Paese, non è più di moda. Il suo discorso impregnato delle promesse non mantenute non convince più le ragazze e i ragazzi delle scuole e delle università che lo avevano votato nel 2000, ponendo così fine a un regime socialista durato decenni. L’arricchimento organizzato dei suoi figli e alleati ha finito per irritare tutti. O quasi. Il presidente uscente può ancora contare su buona parte delle popolazione rurale e soprattutto sulla potentissima confraternita religiosa sufista dei Muride. Basterà? C’è chi dice di no.
Le fughe dal partito presidenziale sono le più alte registrate tra i gruppi politici del Paese. Tra i fuggiaschi c’è Idrissa Seck, ex primo ministro e candidato alle presidenziali in seguito a uno scontro frontale con Wade. A ruota segnaliamo il caso di Macky Sall, anche lui ex primo ministro licenziato dal clan presidenziale e anche lui in lista per conquistare la poltrona della presidenza senegalese. Infine conviene menzionare Abdou Fall, deputato e politico influente che non sopportava più le derive e la corruzione in seno al Pds. Oggi Wade ha le mani talmente sporche che non osa nemmeno più mandare a casa i suoi ministri. Preferisce riciclarli in “ministri consiglieri” a cui garantire gli stessi stipendi e prebende. Tra i suoi più stretti collaboratori è invece rimasto il figlio Karim Wade, ministro dell’Energia, delle Infrastrutture, dei Trasporti e della Cooperazione internazionale, cioè quattro dei portafogli più importanti di qualsiasi governo africano. Niente male per un ragazzo che non hai mai coperto incarichi governativi. E che dire della figlia Sindiély? A lei fu consegnata la direzione del Festival internazionale delle Arti Negre che si è tenuto a Dakar l’anno scorso. Il bilancio dell’evento, anche sul piano finanziario, non è mai stato reso pubblico, ma sappiamo che alcuni artisti non sono mai stati pagati.
Questione di business
In questo teatro dell’assurdo, rimane una questione aperta: perché all’età di 86 anni e dopo due mandati presidenziali, Abdoulaye Wade vuole ancora rimanere alla guida del Senegal? La risposta sta forse nella modifica attuata dal clan Wade del codice dei mercati pubblici senegalesi che estende l’acquisto di prodotti energetici (petrolio, elettricità, etc.) senza dover organizzare appalti pubblici. Il tutto tenendo all’oscuro il primo ministro e il ministro delle Finanze da un’iniziativa che ha come obiettivo quello di mettere le mani su 115 miliardi di franchi CFA (175 milioni di euro) previsti nel Plan Takkal, un piano d’investimento voluto da Karim Wade per far uscire il Paese dalla crisi energetica entro il 2014. E si dice che proprio intorno a quella data il presidente Wade, in caso di vittoria alle presidenziali, sarebbe pronto a lasciare il potere e consegnarlo a un suo delfino. In due anni, il Vecchio farà anche in tempo a seguire la vendita dei terreni che accolgono l’attuale aeroporto internazionale di Dakar e inaugurarne uno nuovo di zecca. Sempre e comunque “per il bene del Paese”.
*giornalista del quotidiano senegalese
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