Non profit

Nel social marketing coi mass media si perde

Troppo spesso finire in tv non serve a nulla

di Redazione

Il grande pubblico è un romanzo convenientemente creato dai mass media. La televisione e le riviste importanti hanno sempre potuto raggiungere soltanto segmenti demografici molto vaghi, come “le donne in età di gravidanza” o “gli studenti universitari” o “maschi adulti fra i 45 e i 55 anni d’età”. Così, molte organizzazioni non profit pensano nello stesso modo: anche loro, convenientemente assoggettate a logiche da mass media, ancora oggi mirano l’offerta a pubblici definiti secondo quei criteri. Ma i mercati reali sono molto più precisi. E molto più selettivi. Oltreché estremamente complicati. I mercati sono fatti di persone e, parlando di “individui”, alla complicazione si aggiunge l’ingovernabilità.
Pensiamo al recente Festival di Sanremo: che senso ha parlare di ampia audience televisiva quando una cantante come Noemi, ben prima della serata finale, aveva avuto oltre 240mila visualizzazioni dirette su YouTube? Visualizzazioni reali. Mentre che l’audience indichi un pubblico che ha effettivamente visto il Festival resta una definizione statistica. Allora, proprio su questo “far vedere” (ma anche “far ascoltare”, o “far interagire”) si dovrebbe maggiormente riflettere. Dedicarvi testa, specialisti, competenze, analisi. Invece molto, troppo tempo ed energie vengono profusi nella creazione di quel messaggio che, convenientemente, ci è stato fatto credere che verrà visto. Domandiamoci: lo sforzo posto nel definire il messaggio, la campagna, il direct mailing, l’email ecc… è paragonabile o, ancor meglio, inferiore allo sforzo impiegato nella definizione dei canali e modi attraverso cui veicolarlo alle giuste persone per ottenere il ritorno atteso? Troppo spesso si producono (gratis) spot televisivi visti solo da nottambuli insonni; direct mailing che vengono inviati a liste (semi gratuite) inefficaci; passaggi radiofonici fortunatamente gratuiti ma sfortunatamente programmati in fasce orarie non pertinenti.
Che senso ha chiedere sforzi (magari pro bono) a professionisti del messaggio pubblicitario senza governarne poi, professionalmente, la veicolazione? Quale il senso nel riporre speranze di risultato in campagne visibili solo grazie a spazi ottenuti gratuitamente? Cercare di raggiungere con la massima precisione ed efficacia quello specifico individuo potenzialmente interessato a sostenerci non può essere lasciato al caso, o alla gratuità. Pianificare il sistema mediatico più efficace è un duro lavoro. Governare il frammentato mondo dei media è una priorità. Decidere di essere davvero visti comporta investimenti, anche economici. Valutare il ritorno generato è l’unico criterio da adottare.