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La guerriglia in Mali ha rotto il delicato equilibrio della regione

di Redazione

Un camion staziona davanti al commissariato di polizia di Fassala, una cittadina senza storia situata nel Sud-Est della Mauritania, presso la frontiera con il Mali. A bordo ci sono una ventina di persone, pochi uomini, per lo più anziani, e una maggioranza di donne e bambini. Lo sguardo è torvo, i tratti segnati dalla fatica. Aspettano il loro turno in una coda interminabile di camion carichi di gente. Ciascuna di queste persone dovrà registrarsi prima di poter raggiungere il campo profughi che, secondo l’Unhcr – Alto Commissariato Onu per i rifugiati, accoglie già oltre 35mila maliani in fuga dagli scontri armati che oppongono i ribelli Tuareg del Nord del Mali all’esercito nazionale.
Nel campo si susseguono le tende di fortuna targate Unhcr, fatte di rami e teloni di plastica. La maggior parte dei profughi provengono da Léré e Timbuctu. A casa hanno lasciato tutto, o quasi. In molti sostengono di non aver assistito agli scontri scoppiati in gennaio, preferendo lasciare le proprie dimore prima che diventassero “zona calda” per non rischiare di rimanere intrappolati nelle aree di conflitto. Era già accaduto negli anni 90, decennio che segnò l’inizio della guerra tra i Tuareg e l’esercito regolare maliano.
Su 172mila profughi vittime del conflitto, sono 90mila quelli che hanno deciso di lasciare il proprio Paese. E che, oltre la guerra, fuggono dalla fame in parte provocata dal boom dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità. Per tutti vale una sola regola: mettere in salvo la propria famiglia. «Gli scontri riguardano i ribelli e l’esercito. Noi vogliamo soltanto vivere in pace», sostiene Adballah, uno degli ultimi arrivati al campo.

Di nuovo in viaggio
Ma non appena si entra nel merito della guerra, i giudizi divergono. Lamine Kunta sta con i ribelli raggruppati nell’Mnla, il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad. «Sono figli della nazione e i loro diritti sono stati calpestati. Cercano il riscatto e fanno bene a combattere», sostiene questo rifugiato maliano di Léré, sbarcato a Fassala con dieci membri della sua famiglia. «Pazienza se siamo stati costretti a scappare e a vivere in condizioni precarie: sosteniamo coloro che cercano la liberazione dell’Azawad».
Nel campo, le condizioni di vita sono difficili. Carne, verdure e soprattutto l’acqua sono beni rari; tanto più rari ora che la siccità sta colpendo tutta la regione. Niente docce, niente latrine. Presso il centro sanitario è stata lanciata una campagna di vaccinazione contro il morbillo per 7mila bambini rifugiati e i loro coetani di Fassala. Tra le tende dell’Unhcr si contano almeno 200 bambini malnutriti.
Inizialmente previsto ai primi di marzo, il trasferimento verso il campo più infrastrutturato di M’Béré è stato anticipato al 22 febbraio con un primo convoglio di 274 famiglie ? circa 1.370 persone ?, seguito da altre 1.265 famiglie partite 24 ore dopo. «Dobbiamo prepararci ad accogliere gente che sta qui in pianta stabile», dice Jamel Nasser, dell’ong locale Ardm. «Molti dei profughi dicono di non essere pronti a tornare in Mali». La scelta di spostare i rifugiati a M’Béré non è casuale. «La nostra prima preoccupazione è la sicurezza», sostiene Philippe Creppy, inviato speciale dell’Unhcr per coordinare l’assistenza umanitaria. «La distanza che ci separa dalla frontiera maliana offre maggiori garanzie rispetto a Fassala, non solo per i rifugiati, ma anche per gli operatori umanitari. Inoltre, il campo di M’Béré può accogliere fino a 30mila persone».

Piogge in calo, colture in crisi
Gestire una tale quantità di rifugiati non è cosa facile. Oltre al numero, pesano i 1.400 chilometri che separano M’Béré dalla capitale mauritana, Nouakchott. Il trasporto del materiale umanitario costa: le stime parlano di almeno 70 milioni di dollari necessari per il 2012, 62 in più rispetto al budget previsto dall’Unhcr prima dell’arrivo dei maliani. Per cogliere la portata reale della crisi provocata dal conflitto, basti pensare che la gestione dei rifugiati in Mauritania assorbirà oltre il 50% dei fondi previsti dall’Unhcr per i rifugiati in tutta l’Africa del Nord. In tali condizioni, c’è da chiedersi se sarà possibile garantire qualcosa in più rispetto al servizio minimo. Tanto più che la Mauritania è minacciata da un’altra emergenza: la crisi alimentare, che sta dilagando in tutte le zone rurali del Paese.
Negli ultimi quattro mesi ? vale a dire durante la stagione umida ? ha piovuto drasticamente meno della media, il che ha ovviamente influito in modo negativo sulle colture: secondo il governo, il calo produttivo del settore agricolo è circa del 75%. La situazione nelle zone pastorali è ugualmente preoccupante. È bene ricordare che in Mauritania si allevano un milione di cammelli, oltre 1,5 milioni di bovini, due milioni di asini e 16 milioni tra capre e ovini. Numeri che quest’anno caleranno. Purtroppo anche i Paesi limitrofi soffrono di una penuria analoga, con la conseguenza di azzerare le possibilità di far transumare il bestiame mauritano verso sud, in direzione del Senegal.
Si calcola che il 24,6% delle famiglie residenti nelle zone rurali della Mauritania ? stiamo parlando di più di 170mila persone ? sono in situazione di insicurezza alimentare, e che tra loro oltre la metà soffre di carenze importanti. In totale, nel Paese, sono circa 700mila le persone a rischio. Ma il Pam – Programma alimentare mondiale ha già fatto sapere che i casi di insicurezza alimentare acuta si stanno moltiplicando a ritmo preoccupante. «La situazione è

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