Welfare

Osapp: costo mensile di un detenuto è stipendio parlamentare

I dati forniti dall'Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria

di Redazione

Un detenuto al mese per lo Stato equivale all’esborso per lo stipendio di un parlamentare. A presentare i dati è l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria). «Se si considera la spesa totale, comprensiva dei costi per il personale, per la manutenzione delle infrastrutture, per il vitto e l’alloggio e per le attività ricreative e culturali, che lo Stato esborsa per il mantenimento dell’attuale sistema penitenziario e la si divide per ciascuno dei 66.153 detenuti presenti nei 45.746 posti delle carceri italiane, si arriva alla somma di circa 12mila euro mensili pro-capite, quasi identica allo stipendio di un parlamentare italiano».

Una similitudine definita “singolare” ma che «non è del tutto casuale – osserva il segretario generale Osapp, Leo Beneduci – se si valuta che i primi hanno contribuito a determinare i secondi, ovvero che molta parte degli attuali disagi e inefficienze del sistema penitenziario derivano dalle scelte sbagliate o dall’assenza di debita considerazione riscontrate in Parlamento da più di un decennio riguardo all’emergenza delle carceri».

«Non appare inopportuno affermare che, così come ci si propone di ridurre i costi della politica in Italia, abbassando il numero dei deputati e dei senatori, si possa immaginare un sistema penitenziario con un minore numero di presenze detentive – suggerisce Beneduci – anche tenuto conto che, in almeno il 50% dei casi, scontare fino alla fine la pena nella promiscuità degli attuali istituti peggiora e non migliora la pericolosità sociale». Dunque «20mila detenuti in meno, per una capienza che torni a essere pari ai posti disponibili, anche considerando l’invariabilità delle spesa per il personale, significherebbero almeno 2 miliardi di euro in meno l’anno a carico della collettività, oltre che maggiore sicurezza sociale per un sistema finalmente in grado di recuperare i detenuti alla civile convivenza».

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