Non profit

«Il nostro futuro è l’impresa sociale» Le Acli si mettono sul mercato

di Redazione

Il programma delle Acli per i prossimi quattro anni è estremamente impegnativo: «Rigenerare comunità per ricostruire il Paese. Acli artefici di democrazia partecipativa e di buona economia». È questo il titolo del loro 24° Congresso nazionale, che si terrà a Roma dal 3 al 6 maggio ed eleggerà il nuovo consiglio. Andrea Olivero, il presidente (praticamente certa la sua conferma), spiega perché le Acli hanno scelto di ripensarsi come soggetto economico.
Arrivate al congresso con tanti volti nuovi? C’è una nuovelle vague aclista?
In queste settimane si stanno rinnovando le presidenze regionali e provinciali: in entrambi i casi, poco meno della metà dei presidenti sono nuovi eletti. I presidenti sono più giovani e per la prima volta c’è un presidente straniero: Antony Xavier Ladis Kurnar, 42 anni, indiano, eletto dalle Acli di Perugia. E ancora, vorrei sottolineare che dentro le presidenze moltissimi provengono dal servizio civile.
Nella primavera 2008, al Congresso precedente, presentavate i risultati di un grande investimento sulla famiglia. Quattro anni dopo, che sono quelli della crisi, su cosa puntate?
La famiglia resta un punto centrale, però oggi lanciamo la sfida dell’economia civile, cioè il vedere i servizi e le imprese di Acli non come un corollario dell’attività associativa, ma come parte integrante della nostra mission. Vogliamo sviluppare un modello di economia, partendo dal fatto che noi stessi – anche in campo economico – siamo corresponsabili.
Concretamente cosa vuol dire?
Riorganizzeremo le nostre imprese e servizi, spingendo anche le parti legate alla dimensione associativa a essere più impresa, cioè ad avere una governance propria, con un modello che garantisca efficacia ed efficienza ma contemporaneamente si connoti ancora di più sui valori, a cominciare da quello della partecipazione. Le nostre imprese e i nostri servizi non devono solo dare buone risposte ai soci, ma essere esemplari sotto il profilo economico: stare sul mercato – quindi usando bene i finanziamenti pubblici ma cercando di non essere solo connessi ai finanziamenti pubblici – e insieme incarnare un nuovo modello di mercato.
Prendiamo i Caf, per esempio?
I centri di assistenza fiscale devono dare un servizio, ma insieme garantire l’accesso alle informazioni e ai diritti per tutta una fascia di persone più deboli che al Caf non ci andrebbero. Ma anche sulla formazione professionale: il tema non è come mantenere in piedi una struttura, ma come dare qualità e ossatura a nuovi servizi al lavoro.
Lei ha detto che intendete puntare su «soggetti trascurati che invece sono il cardine su cui ricostruire il paese: donne, giovani, immigrati, famiglie». Cosa intende?
Saranno loro i protagonisti. Uno degli impegni per i prossimi quattro anni sarà quello di formare i nostri dirigenti perché siano promotori di nuove imprese sociali, perché oggi serve aiutare le persone a costruire lavoro nuovo e dignitoso, insieme.
A questo proposito la beatificazione di Giuseppe Toniolo pochissimi giorni prima del vostro Congresso, cosa vi dice?
Toniolo è stato in grado di assumersi delle responsabilità in ambito economico ma con modelli partecipativi. Sono le comunità che devono fare assunzione di responsabilità. Lui ci insegna che dalla crisi non si esce con ricette vecchie: serve il coraggio di inventare cose nuove.

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