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Parità di genere, le multinazionali fanno spallucce

Nonostante le belle parole e i fondi promessi, le grandi multinazionali non collaborano direttamente con le organizzazioni impegnate nell'emancipazione femminile e parità di genere

di Martino Pillitteri

Una crescente consapevolezza dell’opinione pubblica sul tema dei diritti delle donne, 16,6 miliardi di dollari di fondi messi sul tavolo delle promesse (commitments) e 170 iniziative in maggioranza nei paesi sub  sahariani (50%), dell’Asia del sud e dell’America latina per programmi e iniziative rivolte al gender equality e women empowerment.

È il quadro generale del rapporto tra donatori e women’s organizations trattato dai relatori della tavola rotonda “Engaging with corporation: what’s our business case?” che si è svolta presso l’Assemblea Generale dello European Foundation Centre.

Un quadro che sulla carta sembra idilliaco ma che, fanno notare i relatori della tavola rotonda, è caratterizzato da una criticità: le grandi multinazionali non sono in prima fila nella battaglia dell’emancipazione economica femminile e di genere insieme alle organizzazioni femminili, le così dette Women Rights Organizations.  In altre parole, scarseggiano i finanziamenti diretti del settore privato alle organizzazioni femminili.

I motivi? Le multinazionali hanno nel loro dna la vendita (di beni o di servizi) ai singoli. Le organizzazioni femminili non interagiscono con persone bensì lavorano per cambiare a favore delle donne dinamiche sociali ed economiche. Il loro impegno ha un impatto strutturale, non singolo. C’è anche una questione che riguarda la comunicazione. Le multinazionali sono spaventate dall’espressione “women’s rights”; preferiscono parlare di women empowerment. Le settore privato, è emerso dalla discussione, è sempre meno interessato ad essere un donor; le multinazionali sono propense a gestire e implementare i programmi che sponsorizzano.


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