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Scartati, i protagonisti del futuro sono loro

Nel numero di agosto in edicola da oggi abbiamo scelto di mettere in copertina le storie di 24 (come le ore che compongono una giornata) "scartati" che hanno trovato la strada per non subire la loro condizione. Con gli interventi di Carlo Ratti e Andrea Segré. Giuseppe Frangi spiega il senso di questa scelta

di Giuseppe Frangi

La prima volta è risuonata il 5 giugno 2013: udienza generale del mercoledì in piazza san Pietro, 70mila persone presenti. Francesco è papa da poco più di due mesi, e questo è il suo esordio alle udienze. Ha un tono allarmato. «La persona umana è in pericolo», aveva iniziato. Poi dopo qualche minuto tocca il punto: «Donne e uomini vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia… se una notte d’inverno, qui vicino, in via Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è una notizia». E poi ancora: «Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune che contagia tutti».

Se c’è una parola che contrassegna il pontificato coraggioso e “trasgressivo” di Bergoglio, è proprio questa: scarto. Una parola drastica anche nel suono oltre che nel destino che indica. Una parola che in questi anni ha ripetuto in modo martellante, in ogni Paese e in ogni contesto. Ha voluto dirla in tutte le lingue: in spagnolo, “cultura del descarte”; in inglese, “culture of waste”; in portoghese, “cultura do descarte”; in francese, “culture du rebut”. È una parola, che con la sinteticità delle sei lettere che la costituiscono, sigilla un’epoca: questa.

Ovviamente “scarto” è diventata parola chiave della recente enciclica, Laudato si’, che è un best seller globale. Qui Francesco fa un’importante precisazione di carattere storico: «Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”».

È un’umanità a cui non è più data cittadinanza. Che non è oppressa, ma è sostanzialmente parcheggiata ai margini senza futuro. Un’umanità “espulsa”: questa è la parola che ha usato Saskia Sassen nel suo nuovo libro uscito in America di cui parla Fabrizio Tonello all’interno del servizio di copertita del numero di agosto del magazine in edicola da oggi (invece un altro grande osservatore del nostro tempo, Zygmunt Bauman usa il termine “rifiuti”). È un’umanità trasversale a tutte le latitudini, unita da uno stesso destino nel mondo ricco e in quello povero.

Ma Francesco non resta prigioniero di questa lettura senza scampo. E in particolare negli ultimi mesi, ha più volte ribaltato di segno la parola “scarto”. Lo ha fatto il primo giugno, all’appuntamento mattutino della Messa di Santa Marta. «Quella storia di fallimento si rovescia e quello che è stato scartato diviene la forza», ha detto commentando il passo della pietra scartata diventata testata d’angolo. Questo “rovesciamento” però non è certo esito dalla benevolenza di chi oggi tiene le redini del mondo, ma è il frutto di quella grande energia umana che è nel cuore degli “scartati”. Lo ha detto quasi con slancio incontrando in Bolivia i suoi “amici” dei movimenti popolari: «Che cosa posso fare io?», ha detto rivolgendosi quasi ad uno dei presenti. «Potete fare molto! Voi, i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi, potete fare e fate molto. Oserei dire che il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative creative… Non sminuitevi!».

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