Medio Oriente

A Gaza l’invasione totale, ma il governo italiano resta ancora in silenzio

La Francia ha annunciato il riconoscimento a settembre dello Stato Palestinese imitata da Malta e, forse, da Portogallo e Finlandia. La Slovenia ha interrotto ogni cooperazione militare con Israele, il Belgio si è pronunciato a favore della sospensione di Israele dal programma europeo Horizon e perfino il governo di destra dell'Olanda si è spinto a imporre sanzioni ai ministri suprematisti dello stato ebraico Smotrich e Ben Gvir. E l'Italia? Per Giorgia Meloni l'eventuale riconoscimento della Palestina "è controproducente". Meglio rimandarlo, quindi, a quando nei territori occupati non ci sarà rimasto più neanche un palestinese

di Paolo Bergamaschi

Non occorre essere rodati analisti di geopolitica per capire che queste sono settimane cruciali per la definizione dei nuovi equilibri in Medio Oriente e, ancora di più, per una possibile soluzione della questione palestinese.

Prima di tutto, tuttavia, sarebbe necessario che Netanyahu chiarisse fino in fondo l’exit strategy per la striscia di Gaza nel lungo termine dopo l’annuncio dell’avvio del completamento dell’occupazione da parte dell’esercito israeliano. Nei prossimi giorni la Striscia, già minuscola di per sé e amputata ulteriormente di un’ampia zona-cuscinetto e dei corridoi militari di sicurezza, verrà trasformata nel set di un film horror, sottogenere splatter, con due milioni di persone ancora più stipate nei pezzi di territorio rimanenti sorvegliate dall’alto 24 ore su 24 da droni-killer forse già dotati di software per l’eliminazione automatica dei sospetti o degli individui potenzialmente pericolosi. Una sorta di Grande Fratello a soppressione cruenta dei concorrenti o un Truman Show gigantesco per gli operatori a distanza dei droni.

Da anni, d’altronde, Israele conduce la sua campagna di uccisioni extra-giudiziali degli avversari, dichiarati o ritenuti tali, ovunque siano sulla base di giudizi unilaterali, insindacabili e arbitrari anche quando questi si trovano attorno allo stesso tavolo negoziale, pratica abbondantemente condannata a livello internazionale ma che continua imperterrita. Netanyahu ha ribadito che il suo governo si oppone fermamente alla nascita di uno stato palestinese considerandolo una minaccia esistenziale per Israele. Ma se si esclude l’opzione dei due stati per due popoli la sola che resta è quella di un unico stato binazionale che comprende sia Israele che i territori occupati con uguali diritti per tutti i residenti. I numeri dicono che in questo caso la popolazione di origine ebraica, sette milioni circa, equivarrebbe a quella di origine araba. A meno che l’obiettivo non dichiarato sia quello di annettere Gaza (per ora esclusa) e Cisgiordania previa pulizia etnica delle comunità palestinesi e beduine.

Per troppo tempo si è lasciata incancrenire la questione palestinese rifugiandosi colpevolmente dietro all’ipocrita paravento di un processo negoziale senza sbocchi che avrebbe dovuto svolgersi a bocce ferme, ovvero mantenendo lo status quo, e che, invece, è stato utilizzato da Israele per aumentare la penetrazione ed espandere gli insediamenti. La risoluzione adottata a stragrande maggioranza dalla Knesset il 28 luglio scorso che chiede l’estensione della sovranità di Israele a “Giudea, Samaria e Valle del Giordano”, come viene chiamata la Cisgiordania dai media israeliani, non fa che esplicitare un piano di annessione che il governo di Tel Aviv aspetta solo il momento più opportuno per formalizzare. Facendo seguito a due risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la comunità internazionale ha provato a fare sentire la propria voce negli stessi giorni in cui si è pronunciata la Knesset. La “Conferenza Internazionale di Alto Livello per la Risoluzione Pacifica della Questione Palestinese e l’Implementazione della Soluzione dei Due Stati” che si è svolta al Palazzo di Vetro ha prodotto la Dichiarazione di New York, sottoscritta dai 22 membri della Lega Araba, dai 27 Paesi-Membri dell’Ue e da altri 17 Paesi, fra i quali Canada, Gran Bretagna, Brasile e Turchia di rilievo. Israele e Stati Uniti si sono rifiutati di partecipare con questi ultimi che hanno prodotto una vergognosa campagna di boicottaggio facendo pressioni diplomatiche di ogni sorta per impedire il decollo dell’iniziativa.

Oltre a condannare inequivocabilmente l’aggressione di Hamas del 7 ottobre 2023 e richiedere il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani il testo chiede ad Hamas di trasferire armi e consegne nella striscia all’Autorità Nazionale Palestinese. riafferma il rifiuto di qualsiasi azione che comporti cambiamenti territoriali o demografici, compreso lo sfollamento forzato della popolazione civile palestinese, che costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario, sostiene l’invio di una forza di stabilizzazione internazionale sotto l’egida Onu rilanciando la soluzione dei due stati. Nulla si dice, purtroppo, come è accaduto tante volte in passato, di come tradurre le parole in fatti. L’Ue come al solito va a rimorchio della Lega Araba che a sua volta dimostra scarsa determinazione. Un comodo alibi a cui, però, i singoli paesi possono sottrarsi. La Francia, ad esempio, ha annunciato il riconoscimento a settembre dello Stato Palestinese imitata da Malta e, forse, da Portogallo e Finlandia, la Slovenia ha interrotto ogni cooperazione militare con Israele, il Belgio si è pronunciato a favore della sospensione di Israele dal programma europeo Horizon e perfino il governo di destra dell’Olanda si è spinto a imporre sanzioni ai ministri suprematisti dello stato ebraico Smotrich e Ben Gvir. E l’Italia? Già…l’Italia…..Per Giorgia Meloni l’eventuale riconoscimento della Palestina “è controproducente”. Meglio rimandarlo, quindi, a quando nei territori occupati non ci sarà rimasto più neanche un palestinese.       

AP Photo/Jehad Alshrafi/LaPresse

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