La mia “tripleta”. È così. Come la mia amata Inter. In un colpo solo ho vinto tre volte. La prima è una vittoria sul campo, nel senso vero del termine. Ero lì, a due passi da Milito, quando ha infilato la porta del Bayern, la prima volta, al Santiago Bernabeu, tempio del calcio. Ero lì, assieme a una schiera di tifosi a rotelle e ai loro accompagnatori abbagliati dalla gioia, ma anche accanto alle carrozzine dei tifosi tedeschi, attoniti nel dolore della sconfitta, ma pronti subito a incitare come se niente fosse i loro campioni, fino all’ultimo secondo. La seconda vittoria è stata tutta di informazione: sono riuscito, in queste settimane, a far parlare anche dell’accessibilità degli stadi, non solo della finale di Madrid, sui media (Vita ovviamente non fa testo, ne ha parlato sempre e con attenzione). I tifosi, gli altri, i “camminanti”, mi fermavano lungo il paseo vicino allo stadio per battere il “cinque”, contenti di sapere che avevamo vinto la nostra piccola battaglia per esserci, tutti insieme, a Madrid. La terza vittoria, per me storica, è il ritorno al viaggio lungo, all’emozione della strada da percorrere in auto, quasi tremila chilometri in pochi giorni. Sapendo che un anno fa, di questi tempi, avevo rischiato di morire, e il mio fisico aveva ceduto di schianto. Per poi riprendersi, sempre meglio. Fino a essere, oggi, più in forma di prima. E viaggiare fa bene a tutti, apre la mente e lo spirito: ci fa vedere con occhi diversi la realtà. Ci fa scoprire, ad esempio, una città come Barcellona, vivace, allegra e accessibilissima a tutti, senza barriere, con un’accoglienza cordiale e ironica, anche per un tifoso interista come me. Una “tripleta”, dunque, che mi fa pensare che la vita, sempre e comunque, è in grado di sorprenderti con emozioni improvvise, con cambi di ritmo, con scoperte che poi diventano ricordo, memoria, patrimonio da conservare con cura. Così ho vinto la mia personale e collettiva “Champions League”, a 57 anni.
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