Mondo
Abu Mazen e Sharon, lora del secondo passo
Dopo il voto palestinese e il varo del nuovo governo a Tel Aviv (di Janicki Cingoli).
di Redazione
La vittoria di Abu Mazen si caratterizza per una continuità formale e per una rottura sostanziale con l?era di Arafat. Il nuovo leader, che fu l?artefice palestinese degli accordi di Oslo, pur tra inevitabili ambiguità tattiche, ha espresso chiaramente la propria condanna per la scelta di militarizzare l?intifada, e la scelta di tornare al confronto diplomatico con Israele e con Sharon.
La vittoria di Abu Mazen è stata tanto più significativa perché è avvenuta con circa il 62% dei consensi, e non con percentuali bulgare. Anche la percentuale degli astenuti (circa il 30%) è fisiologica, tenuto conto dei persistenti ostacoli al voto, e non coincide con l?area del fondamentalismo islamico, al contrario un po? erosa. Il presidente eletto ha saputo incarnare la speranza e la stanchezza del suo popolo, la sua voglia di normalità e di futuro.
è importante che, appena eletto, egli abbia dichiarato di voler procedere di pari passo con l?iniziativa diplomatica internazionale e con quella di riforma interna dell?Anp, sviluppandone la democrazia, il pluralismo, la trasparenza e la divisione dei poteri. L?annuncio delle elezioni legislative per il 17 luglio, e delle successive elezioni interne ad Al Fatah, conferma in pieno questa linea di tendenza.
69 anni, malato gravemente, il presidente eletto non rappresenta il futuro palestinese, ma ne incarna il presente che aspira al futuro. La mediazione raggiunta con Marwan Barghouti, il giovane leader dell?Intifada all?ergastolo nelle carceri israeliane, convinto a rinunciare alla candidatura, e l?alleanza con l?emergente figura di Mohammed Dahlan, uomo forte di Gaza, gli hanno consentito di raggiungere la vittoria.
Infine, Hamas non ha partecipato alle elezioni, e questa scelta ha avuto una duplice valenza: di disconoscimento della loro legittimità, ma anche di mancata contrapposizione ad Abu Mazen, verso cui, appena eletto, ha dichiarato di volere un rapporto di collaborazione. La formazione islamica ha già annunciato la partecipazione alle prossime elezioni municipali e a quelle legislative, avviando così una possibile trasformazione da gruppo armato in partito politico, verso la quale non sarà così ininfluente l?atteggiamento israeliano.
Anche in Israele la situazione è in forte cambiamento. La resistenza che Sharon ha incontrato nel Likud, un terzo del quale ha votato contro la formazione del suo governo di unità nazionale, passato solo grazie al voto favorevole di Yahad, il partito diretto da Yossi Beilin, testimonia della drammaticità dello scontro nella destra e della portata reale del piano di ritiro da Gaza, che spezza il mito della Grande Israele. Ora è possibile che tale piano, da unilaterale, divenga l?inizio di un rinnovato negoziato con la nuova leadership palestinese. Bisognerà superare, tuttavia, un largo fossato di odio e di sfiducia.
Janicki Cingoli
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