Persone

Addio a Fofi, intellettuale dal basso

È stato un osservatore unico e appassionato dei cambiamenti che hanno segnato la realtà italiana negli ultimi 50 anni. Per lui esplorazione e studio sono sempre andati di pari passo con lo scoprire e con il fare

di Giuseppe Frangi

C’è un episodio che fa capire quale tipo di intellettuale sia stato Goffredo Fofi, scomparso oggi all’età di 88 anni. Siamo nella Torino della fine degli anni ’50. Il giovane Fofi è reduce da un’esperienza siciliana in cui aveva fatto conoscenza di Danilo Dolci, affiancandolo nell’avventura dello “sciopero alla rovescia”. Era la stagione della grande immigrazione dal Sud verso il Nord industriale e Fofi aveva conosciuto i volti e le vite di chi affrontava quella migrazione. Da fine osservatore qual era aveva proposto all’Einaudi di lavorare ad un libro che raccontasse quel fenomeno: un libro che sarebbe diventato un punto di riferimento fondamentale per capire davvero l’Italia di quegli anni. Raniero Panzieri, che dirigeva la collana di saggi per la casa editrice gli aveva dato via libera, garantendogli un minimo di risorse per fare le ricerche.

Ricorda Fofi che in quello scorcio di mesi il suo osservatorio era molto ravvicinato: infatti la sua casa era aperta ad accogliere tanti ragazzi arrivati dalla Sicilia, e che in tanti casi aveva conosciuto nel periodo trascorso sull’isola. «Dovevo stendere i lenzuoli per terra per ospitarli quando arrivavano», ha raccontato. Poi con la consueta libertà e onestà intellettuale che lo ha sempre caratterizzato, lui uomo di sinistra ha rivelato di aver scoperto in quella circostanza la forza positiva del cattolicesimo sociale torinese, in particolare quello che discendeva da don Bosco. «Ero rimasto colpito non solo dallo spirito di accoglienza ma anche dallo sforzo subito in messo in campo per insegnare loro un lavoro e accompagnarli nella formazione».

La vicenda del libro è pure quella emblematica: una volta scritto si scatenò un guerra interna all’Einaudi, che portò al licenziamento di Panzieri e alla decisione di Fofi di indirizzarsi per la pubblicazione su Feltrinelli (oggi “L’immigrazione meridionale a Torino” è stato ripubblicato da Aragno editore).

L’episodio è emblematico della parabola umana e intellettuale di Goffredo Fofi, un personaggio che è estraneo a tutti gli schemi con cui si legge abitualmente la scena culturale italiana. È stata un’intelligenza trasversale, capace di tenere insieme impegno sociale, riflessione pedagogica, passione letteraria e grande attenzione per il cinema e la sua capacità di raccontare la realtà. È stato anche imprenditore culturale, proprio per garantirsi quella libertà che come gli aveva insegnato l’esperienza torinese con Einaudi non è garantita anche laddove c’è un pensiero politico corretto.

Di qui le sue tantissime iniziative editoriali, in particolare quella del mensile “Lo straniero”, lettura imperdibile per chiunque fosse affamato di riflessione culturale applicata alla realtà. Come dice il titolo di un libro intervista in cui Fofi si racconta a Oreste Pivetta, la sua è stata una “vocazione minoritaria”. Una vocazione sorretta da passione e un’intelligenza che gli ha permesso di scovare tanti talenti della letteratura e del cinema italiano. O di impegnarsi nell’appassionata difesa critica di giovani autori di area siciliana o napoletana (come Daniele Ciprì e Franco Maresco, Roberta Torre, Mario Martone, Pappi Corsicato) impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi cinematografici, o nella vicinanza a cineasti tardivamente riconosciuti o “irregolari” come Gianni Amelio e Sergio Citti.

L’ultimo suo libro significativamente si intitola “Quante storie”, uscito lo scorso anno con una prefazione di Giuseppe De Rita. In quelle pagine Fofi si conferma intellettuale immune da scetticismo e fatalismo e sempre pronto a “fare”: «La Storia è così cambiata che non ci serve piangere sulle occasioni perdute della società italiana, ma capire cosa bisognerebbe fare oggi».

Foto: dalla pagina Facebook di Goffredo Fofi

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