Mondo
Adozioni in Cambogia, porte quasi chiuse
Oggi sono otto le associazioni italiane attive. La maggior parte dovrà fare le valigie. Il Cifa: «Ci auguriamo non sia una decisione definitiva»
di Redazione
Un’autorità centrale, una banca dati dei minori adottabili, l’adozione come atto giudiziale dichiarato dal tribunale, l’accreditamento di due soli enti stranieri per ciascun Paese: sono le principali novità della legge che l’Assemblea nazionale cambogiana ha approvato in prima lettura il 23 ottobre scorso per rendere finalmente operativa la Convenzione Aja sulle adozioni internazionali.
L’Italia, con 146 pratiche adottive pendenti, è tra i Paesi stranieri più impegnati nella collaborazione con Phnom Penh per la realizzazione di un sistema adottivo in linea con gli standard internazionali. Il mese scorso una delegazione cambogiana guidata dal sottosegretario di Stato, Nim Thoth è giunta a Roma per partecipare a un incontro con le famiglie italiane che hanno adottato bambini nel loro Paese. «Si è avviato un buon dialogo con le autorità cambogiane», commenta Valeria Rossi Dragone, presidente del Ciai. «La sottoscrizione della Convenzione Aja comporta un drastico cambiamento nel sistema adottivo del Paese, che porterà a innalzare gli standard di sicurezza e di protezione dei minori. Il grande problema delle adozioni in Cambogia era infatti la verifica dell’effettiva adottabilità dei bambini».
L’incontro è stato occasione per anticipare i contenuti della nuova legge, che ora dovrà passare dal Senato ed ottenere la firma regia. All’indomani della sua approvazione, desta una certa preoccupazione l’intenzione cambogiana di ridurre le relazioni con gli enti stranieri: sugli otto enti italiani operativi sul territorio, in molti casi con importanti progetti di cooperazione (oltre a Ciai e Cifa ricordiamo anche AiBi, Aipa, Comunità di Sant’Egidio, Famiglia e Minori, Lo scoiattolo, Naaa), solo due saranno accreditati.
Si tratta di un trend sempre più frequente: la Cina, ad esempio, ha scelto di accreditare soltanto due enti italiani (AiBi e Ciai, cui ora si aggiungerà anche il Cifa che ha avuto recentemente il via libera). Così pare che farà anche il Guatemala, nonostante la pioggia di autorizzazioni rilasciata dalla Cai. Si crea un evidente cortocircuito: in Italia oltre 70 enti hanno l’autorizzazione per diversi Paesi nel mondo, ma tale autorizzazione non sempre ha carattere di reciprocità. E la mancanza dell’accreditamento chiude, di fatto, il canale adottivo dell’ente interessato. «Ci auguriamo che con la Cambogia ci siano spazi di trattativa», commenta il presidente del Cifa, Gianfranco Arnoletti. «Il tetto di due enti è soltanto un’indicazione del Bureau Aja, non un’imposizione», aggiunge Rossi Dragone, «a quanto sappiamo, però, il primo ministro cambogiano è deciso ad attenersi a questa regola per almeno due-tre anni, fino a quando il nuovo sistema non sarà divenuto pienamente operativo».
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