Non profit
aiuti, la grandeur di Louis Michel
49 miliardi di euro nel 2008. Cioè lo 0,40% del Pil europeo. Ma quasi tutti destinati agli Stati. Penalizzando le ong. E tagliando i microprogetti. E dopo di lui?
di Redazione
«L’Europa è il più grande fornitore di aiuto allo sviluppo nel mondo». La scritta ha valore di testamento. Quella che campeggia sul sito di Louis Michel fa fede a una realtà che gli amici più stretti del commissario europeo uscente allo Sviluppo e agli Affari umanitari classificherebbero come «ineccepibile». Indubbiamente le cifre giocano a favore del politico più bollente e coraggioso della soporifera commissione Barroso. Con 49 miliardi di euro sganciati nel 2008 (cioè lo 0,40% del pil europeo), l’UE totalizza il 55% degli aiuti internazionali a favore dei Paesi poveri. Una cifra ragguardevole che Michel sogna di superare raggiungendo i 69 miliardi di euro nel 2010.
Problema: nel 2010 Michel non ci sarà, almeno non sarà alla guida della commissione Sviluppo. Molti, ma non tutti, lo stanno già rimpiangendo. Senza entrare nel merito dei rapporti di amore e odio che l’ex ministro degli Affari esteri belga ha instaurato con il mondo della cooperazione, per Vita è l’occasione di fare un bilancio dell’era Michel e le sfide che attendono il suo successore.
Appena sbarcato a Place Schumann, l’irruente Louis decide di fare piazza pulita. «Basta con i microprogetti e le cattedrali nel deserto». Prendendo spunti dal Piano Nepad presentato pochi anni prima dal presidente senegalese, Abdoulaye Wade, decide di spostare gli aiuti verso le infrastrutture (strade, ospedali, scuole su tutti) e spenderli a favore di progetti regionali. Insomma, roba pesante.
Ma non basta. L’efficacia degli aiuti è l’altro grande cavallo da battaglia del commissario europeo. «Troppi sprechi», ha più volte esclamato, «qua bisogna tagliare le spese intermediarie». Tra lobby e carisma, Michel convince il Consiglio europeo e il Parlamento di Strasburgo a seguirlo nella sua volontà di dirottare parte degli aiuti Ue direttamente nelle casse degli Stati dei Paesi poveri. Nasce nel 2006 il Consenso europeo, “pietra filosofale” delle politiche di sviluppo dell’Unione, che vede le spese budgetarie passare dal 20 al 50%. «Molti hanno criticato Michel per il rischio che si correva di consegnare soldi a Stati corrotti», dichiara a VitaLuisa Morgantini, membro dell’influente commissione Sviluppo del Parlamento. «Noi parlamentari abbiamo invece detto sì ma a condizione che la consegna dei fondi venisse scrupolosamente controllata».
Il controllo, seppur doveroso, ha dato filo da torcere a Louis Michel. Il più grande nemico dei politici di Bruxelles si chiama EuropeAid, l’organo di controllo dei conti dell’Unione in ambito sviluppo e ormai odiato da tutti (o quasi) per le condizioni kafkiane di accesso ai fondi.
Un’altra sfida che attende il prossimo commissario è il coordinamento tra i 27 Stati membri. In un rapporto publicato l’8 aprile scorso, si calcola che ogni anno circa 7 miliardi di euro svaniscano nel nulla per l’incapacità degli Stati Ue di razionalizzare le loro politiche di aiuto. Uno scandalo che rischia di inquinare l’immagine di una commissione già afflitta dalla campagna d’informazione lanciata tre anni fa dalla società civile contro gli Epas, gli Accordi di partenariato economico.
E non solo. Voci di corridoio lasciano intendere che nel caso di una eventuale approvazione del Trattato di Lisbona, la riduzione del numero di commissari previsti potrebbe essere fatale allo Sviluppo. «Ma non sarà così», assicura Morgantini, «altrimenti nelle strade di Bruxelles scoppierà la rivoluzione». Con il rischio di vedere gli Obiettivi del Millennio allontanarsi sempre di più e lanciare un pessimo segnale in tempi di crisi economica.
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