La settimana parlamentare
Alle Camere va in scena la grande finzione del “decreto flussi”
Arriva lo “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante la programmazione dei flussi d'ingresso legale in Italia dei lavoratori stranieri per il triennio 2026-2028”. Previsti 497mila nuovi ingressi. Pochi e irreali. Unioncamere propone per il prossimo quinquennio 640mila nuovi ingressi all’anno. Non solo: in larga parte non si tratterà di nuovi ingressi, ma di regolarizzazioni di chi già lavora in Italia

Riprendono le attività parlamentari dopo la pausa agostana. Vi segnalo lo “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante la programmazione dei flussi d’ingresso legale in Italia dei lavoratori stranieri per il triennio 2026-2028”, Atto n. 289 , meglio conosciuto come “ decreto flussi”, in discussione presso le Commissioni competenti di Camera e Senato.
Facciamo il punto. L’ingresso nel territorio italiano per motivi di lavoro avviene attraverso quote d’ingresso stabilite dal Testo unico sull’immigrazione, il decreto legislativo 286/1998. Il governo Meloni con il decreto legge 20/2023 ha modificato l’articolo 3 del Testo unico prevedendo che le quote massime dei lavoratori stranieri siano definite con un decreto del Presidente del Consiglio (Dpcm) previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, l’acquisizione dei pareri della Conferenza unificata e delle competenti Commissioni parlamentari. Non solo, a stretto giro sono stati emanati il Dpcm flussi 2023-2025 del 27/9/23, e il Dpcm 245 /24.
Vediamo in sintesi i cambiamenti più significativi apportati alla normativa precedente, cambiamenti tesi per lo più a semplificare le procedure. Ne accenno alcuni: l’estensione al lavoro stagionale del regime del silenzio assenso, il conferimento ai professionisti e all’organizzazione dei datori di lavoro più rappresentative della certificazione dei requisiti sull’osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo e la congruità del numero delle richieste presentate; la possibilità per l’Ispettorato nazionale del lavoro con la collaborazione dell’Agenzia delle Entrate di effettuare controlli a campione sul rispetto dei requisiti e delle procedure previste; la previsione dell’allargamento delle quote di ingresso alle persone straniere che hanno completato le attività di istruzione e formazione organizzate dalle associazioni di categoria del settore produttivo di competenza; la irricevibilità dell’istanza del datore di lavoro che nel triennio precedente ha presentato una richiesta di nulla osta senza poi sottoscrivere il contratto di soggiorno; la semplificazione della preventiva verifica presso il centro per l’impiego della indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale; l’obbligo del datore di lavoro di dare conferma entro 7 giorni dalla ricezione del nullaosta; il lancio in via sperimentale, al di fuori delle quote stabilite, di permessi di ingresso di lavoratori da impiegare nell’assistenza familiare e socio sanitaria a favore di persone con disabilità o di persone “grandi anziani”.
Il decreto flussi 2026-2028, composto da 8 articoli, attualmente in discussione conferma questa linea: prevede un incremento delle quote del 6% raggiungendo la cifra totale di 497mila nuovi ingressi; sono definiti i criteri per il governo dei flussi di ingresso, tra questi vi segnalo il passaggio che prevede la valutazione della capacità di accoglienza e di inserimento dei lavoratori stranieri nelle comunità locali (sarà interessante capire come verrà fatta e con quali strumenti). Si dispone il mantenimento di una quota specifica per gli addetti al settore dell’assistenza familiare, si prevede il potenziamento degli strumenti di formazione nei Paesi d’origine e l’incentivazione all’ingresso di lavoratori ad alta qualificazione professionale.
Tutto bene? Non proprio. L’architettura che regola l’ingresso di lavoratori stranieri nel nostro Paese si basa sulla legge 189 del 2002, meglio nota come legge Bossi Fini, fuori dalla realtà già allora e oggi ancor di più. Il meccanismo impedisce il reale incontro da domanda e offerta , di fatto bloccando l’ingresso regolare di lavoratori stranieri. Nessun imprenditore, nessuna famiglia, assume senza conoscere, o almeno incontrare prima, il candidato per l’eventuale assunzione. L’approccio antropologico e politico è noto: si affronta il fenomeno migratorio come un problema di sicurezza e di barriere da apporre piuttosto che una opportunità per il Paese di pensarsi al futuro. I decreti flussi sono tutti falliti, da anni: per la gran parte sono serviti a regolarizzare i lavoratori stranieri irregolari già presenti in Italia. Non solo, le quote di ingresso sono state sempre sottostimate rispetto alle quote stabilite offerti, per esempio Unioncamere propone per il prossimo quinquennio 640mila nuovi ingressi all’anno.
Occorre un ripensamento radicale della politica migratoria del Paese riguardo la gestione dei flussi e i processi di integrazione sociale e culturale dei lavoratori stranieri e delle loro famiglie. Con affermazioni non veritiere sul fenomeno migratorio, sulla realtà vera dei bisogni del nostro sistema produttivo e delle famiglie, e sulla riduzione del migrante a mera “forza lavoro” ( lavori per noi ma devi essere invisibile) non faremo alcun passo in avanti.
Foto: Unplash
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