Non profit

Amici e famiglia, che black out

Come cambia la produzione di "beni relazionali"

di Redazione

Tanti vecchi e single, pochi figli. Anche i legami di amicizia soffrono per i ritmi della vita. Solo l’associazionismo sembra consolidarsi. Lo dicono i numeri dell’Istat Cosa succede ai beni immateriali in tempi di crisi, in particolare a quelli ad alta intensità di relazione? Viviamo in una società che nell’immateriale riconosce una delle sue dimensioni fondanti. Spostare l’attenzione sulla categoria dei beni relazionali può aiutare ad affrontare da un punto di vista inedito, e forse anche solo per questo motivo utile, la congiuntura attuale. Quando la relazione è oggetto dello scambio si evidenziano infatti tutti i limiti delle categorie interpretative tipiche della cultura dominante, che ha eletto il profitto ad unico obiettivo. Il problema è dove trovare riscontri empirici rispetto al tipo e alla quantità di beni relazionali scambiati nella nostra società.
Un primo contributo in tal senso si trova in un recente rapporto dell’Istat sulla vita quotidiana delle famiglie italiane. È un crogiolo di statistiche su aspetti molto diversi: dagli stili alimentari al ricorso ai servizi sanitari, dall’utilizzo di internet alle vacanze. Se però si sfoglia con un po’ di attenzione il volume si possono trovare alcuni indicatori che approssimano la produzione di beni relazionali. Due aspetti emergono in particolare. Il primo riguarda le dimensioni della reticolarità familiare e amicale e il secondo la partecipazione sociale. I dati sono aggiornati a fine 2007, si fermano cioè sulla soglia della crisi, però sono statisticamente solidi e soprattutto misurati su un arco di tempo significativo (sei anni).
Che cosa emerge dunque dai dati? La famiglia sembra faccia sempre più fatica, per una questione dimensionale, a sviluppare un’autoproduzione, anche ad uso interno, di beni relazionali. Aumentano infatti le famiglie dove il nucleo non c’è (quelle monocomponente sono poco più di un quarto del totale) e dove il nucleo esiste cresce soprattutto la tipologia della coppia senza figli (20%). Se si allarga la prospettiva alle reti amicali si nota un lento diradarsi delle relazioni che perdono i tratti della quotidianità (il 23,9% vede gli amici tutti i giorni ma erano il 25,5% nel 2001) diventando eventi sporadici (cresce dal 14,1 al 15,5 la percentuale di chi vede gli amici qualche volta al mese).
Spostando l’attenzione alla partecipazione sociale, questa sembra riferibile a una nicchia che si è sì stabilizzata ma che fatica ad ampliarsi. Le percentuali di coloro che, secondo l’Istat, partecipano a riunioni in associazioni culturali e ricreative e fanno volontariato rimangono più o meno stabili nel tempo: circa il 9% della popolazione con più di 14 anni di età, ovvero 4,5 milioni di persone.
Sembra insomma delinearsi un restringimento delle reti naturali su base familiare e potenziamento dei network associativi che insistono su contesti comunitari costruiti intenzionalmente a questo scopo. Ciò influisce non tanto sull’ammontare dei beni, ma piuttosto sulle opportunità derivanti dal poter attingere a reti dove i legami sono più consistenti ed estesi. Ed è proprio questa la sfida per politiche capaci non solo di evocare in senso retorico “la comunità”, come capita in qualche passaggio del recente Libro bianco sul futuro del modello di welfare, ma di riconoscere la necessità di dotarla di proprie istituzioni che per loro missione sono specializzate proprio nella produzione di beni relazionali.

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