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Amnesty alle parti in conflitto: stop alle torture
Appello dell'organizzazione che ha raccolto testimonianze sulle torture subite sia dai soldati pro-Gheddafi sia dai ribelli
di Redazione
Proteggere i detenuti dalla tortura. È l’appello rivolto da Amnesty International a entrambe le parti coinvolte nel conflitto in corso in Libia. Una delegazione di Amnesty International, giunta nel Paese martedì 23 agosto, ha raccolto testimonianze di detenuti che hanno subito torture sia da parte dei soldati pro-Gheddafi sia da parte delle forze ribelli nella zona di Az-Zawiya.
Martedì 23 agosto, Amnesty International ha incontrato rappresentanti delle forze ribelli nei locali della scuola Bir Tirfas, usata ora come centro di detenzione per i soldati pro-Gheddafi e per presunti mercenari e civili fedeli al colonnello.
I rappresentanti delle forze ribelli hanno dichiarato che le violazioni dei diritti umani commesse sotto il precedente regime non si ripeteranno. Hanno aggiunto che tuteleranno il diritto dei detenuti a essere trattati con dignità e che questi riceveranno processi equi.
Un ragazzo, intervistato da Amnesty International in una cella sovraffollata in cui 125 persone riuscivano a malapena a muoversi e a dormire, ha raccontato come ha risposto all’appello del governo di Gheddafi a prendere le armi contro l’opposizione. Ha dichiarato di essere stato trasportato a un campo militare di Az-Zawiya e che gli è stato messo in mano un kalashnikov, che non sapeva minimamente come usare.
Un appartenente alle forze di sicurezza di Gheddafi ha riferito ad Amnesty International di essere stato rapito da un gruppo di uomini armati, il 19 agosto, mentre stava portando rifornimenti alle forze pro-Gheddafi. Ha affermato di essere stato picchiato su tutto il corpo col calcio dei fucili, preso a pugni e a calci. Il suo aspetto rendeva credibile la testimonianza. Ha proseguito dicendo che nel centro di detenzione, le percosse erano meno frequenti e brutali ma dipendeva da chi era di guardia.
Secondo i responsabili del centro di detenzione di Az-Zawiya, un terzo dei prigionieri è costituito da “mercenari stranieri”, tra cui cittadini del Ciad, del Niger e del Sudan.
Quando Amnesty International ha parlato con diversi di loro, hanno affermato di essere lavoratori migranti, arrestati nelle loro case, sul posto di lavoro o semplicemente a causa del colore della pelle. Nessuno indossava uniformi militari. Hanno detto di temere per la loro vita poiché i loro rapitori e le guardie li hanno minacciati di “essere eliminati o condannati a morte”.
Cinque parenti di una famiglia del Ciad, tra cui un minorenne, hanno dichiarato ad Amnesty International che il 19 agosto stavano guidando verso una fattoria fuori Az-Zawiya per fare un po’ di raccolto, quando sono stati fermati da un gruppo di uomini armati, alcuni dei quali in divisa militare. Gli uomini armati hanno presunto che si trattasse di mercenari e li hanno portati al centro di detenzione, nonostante il loro autista avesse dato assicurazioni che erano lavoratori migranti.
La delegazione di Amnesty International ha scoperto prove di stupri commessi contro i detenuti nella famigerata prigione di Abu Salim, a Tripoli. Ex detenuti hanno dichiarato di aver visto giovani uomini portati fuori dalle celle di notte e rientrati diverse ore dopo con l’aspetto stravolto.
Due ragazzi hanno riferito ai compagni di cella di essere stati stuprati da un secondino. Secondo un ex detenuto, «uno dei ragazzi era in pessime condizioni dopo essere stato riportato in cella. I vestiti erano strappati, era quasi nudo. Ci ha detto che era stato stuprato. È accaduto a quei due ragazzi per diverse volte».
Migliaia di uomini, tra cui civili estranei ai combattimenti, sono “scomparsi” durante il conflitto dopo essere stati presi dalle forze pro-Gheddafi. Le loro famiglie vivono da mesi nell’angoscia di non conoscere la loro sorte.
Coloro che sono stati liberati dalle carceri di Tripoli e di Sirte raccontano storie di tortura. Hanno descritto ad Amnesty International di essere stati picchiati con cavi di metallo, manganelli, bastoni e di essere stati sottoposti a scariche elettriche.
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