Cultura

Armi: La Svizzera esporta al Sudan?

La Svizzera nel 2002 ha esportato armi verso il Sudan, paese in cui hanno luogo violazioni dei diritti umani, per un totale di 4,3 milioni di dollari (5,3 milioni di franchi)

di Redazione

Lo afferma il rapporto annuale sulle armi leggere dell’Istituto di studi internazionali di Ginevra (HEI), presentato alle Nazioni Unite a New York.

L?HEI, infatti, elenca le forniture conosciute di armi leggere verso stati sospettati di non rispettare i diritti dell’uomo. La Svizzera, secondo il rapporto, ha esportato materiale bellico anche in direzione di Pakistan, Indonesia e Jugoslavia.

Solo le esportazioni iraniane verso il Sudan, pari a 5,4 milioni di dollari, sono risultate nel 2002 superiori a quelle svizzere, si legge nel documento di 335 pagine dell’istituto ginevrino.

L?HEI ha ottenuto le informazioni da fonti sudanesi, ma non precisa chi fossero gli acquirenti.

Interrogato sui dati comunicati dall’HEI, Othmar Wyss – responsabile del controllo delle esportazioni presso il Segretariato di stato dell’economia (seco) – ha detto che le cifre «o sono false o riguardano armi esportate senza autorizzazione».

Le statistiche ufficiali del Seco indicano che l’export di armi verso il Sudan ammontava nel 2002 a 4.100 franchi.

Interpellata dalla Radio Svizzera Romanda su questa differenza sostanziale, Anna Khakee, tra i responsabili dello studio HEI, non ha escluso un errore nelle cifre fornite dalle autorità del Sudan, evocando in particolare una svista delle dogane sudanesi.

Guerra civile
Mentre si delinea una soluzione di pace nella guerra civile scoppiata oltre 20 anni fa nel Sud del paese, che vedeva opposti il Nord islamico e il più povero Sud, cristiano-animista, una nuova drammatica emergenza alimentare si è aperta nel Darfur, teatro di un nuovo conflitto dalla primavera del 2003.

Gli scontri tra le popolazioni contadine nere e le milizie arabe, sostenute dal governo, hanno provocato finora la morte di almeno 10’000 persone, oltre che 1 milione di sfollati e 200 mila profughi, fuggiti nel Ciad.

Le due fazioni hanno firmato un armistizio nell?ottobre del 2002, con l?aiuto dei mediatori svizzeri a Lucerna. Un ulteriore accordo sulla divisione del potere dovrebbe avvenire in agosto, ma non si può dare nulla per scontato.

I combattimenti del Darfur hanno causato una delle peggiori crisi umanitarie attualmente in atto nel mondo, secondo quanto afferma l?ONU.

Proprio venerdì sera, il segretario generale Kofi Annan è riuscito a strappare al governo sudanese la promessa di inviare truppe nel Darfur, per fermare la violenza dei ribelli.

Milioni per l?umanitario
Durante la sua recente visita di cinque giorni in Sudan, la ministra degli esteri elvetica, Micheline Calmy-Rey si era detta «turbata» dalla situazione umanitaria del Darfur.

All?inizio di giugno a Ginevra, durante una riunione che riguardava quella martoriata regione, Calmy-Rey aveva promesso 10 milioni di franchi per sostenere il programma di aiuti umanitari.

La Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC) è presente sul posto dall?autunno del 2003.

Ma la polemica non si arresta
A Berna il Segretariato di Stato dell’economia (Seco) ha deciso di fare piena luce sulla vicenda.

«Vogliamo sapere in modo preciso la provenienza delle cifre», ha detto Othmar Wyss, responsabile del controllo delle esportazioni presso il Seco. Secondo le statistiche ufficiali, l’export verso il Sudan – dove la guerra civile ha già fatto oltre due milioni di morti – è infatti stato pari nel 2002 a soli 4’100 franchi.

I casi sono due: o i dati dell’istituto ginevrino sono sbagliati, oppure – ha detto Wyss – sono state esportate armi senza autorizzazione, ma si tratta di un’ipotesi poco credibile. «Non capiamo, ha aggiunto Wyss, perché gli autori dello studio non abbiano preso contatto con noi». Anche Raimund Kunz, ambasciatore svizzero in Sudan con residenza al Cairo, si è detto sorpreso: «non mi spiego la cifra di 4,3 milioni di dollari», ha affermato.

Il rapporto dell’HEI cita l’export di armi leggere svizzere verso il Sudan quali pistole, fucili d’assalto e lancia-razzi, ma non ne precisa gli acquirenti. L’istituto ginevrino ha fatto sapere oggi che lo studio si basa su cifre dell’ONU, le quali a loro volta si basano su dati diffusi dalle autorità sudanesi. «Non abbiamo raccolto noi stessi i dati statistici presso le autorità di Karthum», ha detto la responsabile delle pubblicazioni Tania Inowlocki. E non è escluso che le cifre comunicate dal Sudan siano errate, ha aggiunto una delle autrici, Anna Khakee.

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