Prima di addentrarci nel tema occorre fare un appunto al legislatore: dal punto di vista della fruibilità della norma da parte degli operatori, sarebbe stato meglio scrivere la modifica all’art. 10 comma 8, Dlgs 460/97, intervenendo su quel testo e non lasciando una “norma sparsa” di importanza così vitale. Ovviamente si parla dell’art. 30, comma 5, Dl 185/2008 che, proprio per il fatto che non sia stato ancora pienamente attivato, dopo quasi un anno dalla sua approvazione, la dice lunga sul fatto che il provvedimento non aveva carattere di necessità ed urgenza. Con il comma 5 si interviene sul principio delle “onlus di diritto”, cioè di quelle organizzazioni che per il solo fatto di essere costituite in base a determinate leggi e quindi riconosciute come organizzazioni di volontariato (legge 49/1987), associazioni di volontariato (266/91) e cooperative sociali (381/1991) possono essere considerate onlus «a prescindere» dai vincoli statutari imposti nell’art. 10, comma 1, Dlgs 460/97. Il decreto stabilisce dunque che le organizzazioni di volontariato che svolgono attività diverse da quelle considerate “produttive marginali” in base al Dm 25 maggio 1995, non siano più considerate onlus di diritto. Ma allora che succede? Sono per questo cancellate dai registri regionali/provinciali delle associazioni di volontariato?No, perché l’iscrizione al registro è questione diversa ed è sottoposta ad un’altra autorità, diversa dall’Agenzia delle Entrate.
Gli effetti fiscali però sono importanti: le erogazioni liberali effettuate in base alla +Dai -Versi non sono più deducibili, non sono detraibili quelle effettuate in base all’art. 15 del Tuir; i proventi derivanti dalle attività commerciali, diverse da quelle marginali, sono soggetti a Iva e a imposte dirette; cade l’esenzione “larga” dall’imposta di bollo, ristretta ora alle sole operazioni sull’atto costitutivo; non si applica l’esenzione (temporanea) dalle imposte ipotecarie e catastali né dall’imposta di registro in termine fisso (minimo) sugli acquisti di immobili destinati all’uso istituzionale diretto. Al contrario restano immutati i regimi di non applicazione dell’Iva/imposte sui redditi sui proventi da convenzioni e su quelli derivanti dall’eservizio di attività commerciali e produttive marginali; delle imposte sulle donazioni e successioni applicabili in caso di donazioni, eredità e legati, oltre al fatto di restare iscritte negli elenchi dei destinatari del 5 per mille.
A parere di chi scrive, se lo statuto è ben costruito, l’associazione che “esce dalla porta”, cioè non è più onlus di diritto, può rientrare “dalla finestra” perché può chiedere il riconoscimento in via ordinaria dello status di onlus mediante richiesta di iscrizione nell’Anagrafe delle onlus. L’ostacolo al riconoscimento potrebbe essere l’esercizio di attività non perfettamente iscrivibili tra quelle “accessorie” comunque possibile per le onlus. Non dimentichiamo infatti che nella 460 si parla di esercizio di: attività istituzionali, fuori campo di applicazione delle imposte sui redditi; attività direttamente connesse, fiscalmente assimilate alle istituzionali; attività accessorie assimilate alle “direttamente connesse” e quindi alle istituzionali, ergo, fuori campo di applicazione delle imposte sui redditi.
Certamente il percorso si preannuncia impervio poiché le Direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate sono diventate avare nel concedere il riconoscimento, e l’eventuale contenzioso che si scatena a fronte del rifiuto viene coltivato sino alla Cassazione nonostante sentenze favorevoli all’associazione resistente.
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