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proposte Il ddl che cambia il libro primo del Codice civile

di Redazione

Approderà presto all’aula della Camera la proposta di legge delega per la riforma del Libro primo del Codice civile formulata dall’onorevole Michele Vietti (Udc). I tempi si annunciano lunghi: la legge delega deve essere prima approvata dal Parlamento, poi occorreranno dei decreti legislativi per la concreta attuazione. Si tratta comunque del tentativo più compiuto, e con più chance di andare in porto, degli ultimi anni. Il nostro esperto ci guida alla comprensione dei suoi contenuti, per molti aspetti rivoluzionari. A un primo esame del testo, l’attenzione cade sulla suddivisione degli enti senza finalità di lucro che si propone: enti con personalità giuridica e associazioni non riconosciute. Sembrerebbe perciò sparire dal Codice civile la figura del comitato, a meno che questo tipo di ente non ottenga il riconoscimento della personalità giuridica che, rispetto alla situazione attuale, non è la normalità.
La distinzione fondamentale che viene fatta è tra gli enti caratterizzati dall’autodestinazione agli associati dell’attività svolta e gli enti che «suscitano un affidamento in ordine alla realizzazione di un fine pubblico o collettivo».
Ovvero, tra enti con attività prevalente verso i soci e quelli che svolgono attività per la collettività. Questi ultimi saranno ulteriormente suddivisi in enti che ricevono o sollecitano donazioni/erogazioni liberali dalla collettività, contributi pubblici, si avvalgono di lavoro volontario, ricevono liberalità per la realizzazione di scopi di utilità collettiva o l’interesse dei soci, amministrano patrimoni con finalità diverse dallo scopo dell’ente e svolgono un’attività di impresa, in particolare se esercitata al fine di realizzare scopi di utilità pubblica o collettiva. Decreti legislativi successivi dovranno disciplinare l’esercizio dell’impresa nel pieno rispetto della tutela dei terzi e delle finalità dell’ente, e prevedere norme per l’assetto organizzativo delle associazioni che operano nell’ambito di raggruppamenti (federazioni).
Quello dell’esercizio di impresa da parte di enti non profit è un terreno delicato, perché dall’importanza dell’attività discende l’applicazione delle norme fallimentari in caso di dissesto. In passato la materia non era disciplinata in modo univoco, quindi erano state le sezioni fallimentari dei tribunali a occuparsene. Anche le procedure di riconoscimento dovrebbero essere modificate dalla riforma: fermi restando i principi previsti dal dpr 361/2000, come per le società di capitali entrerebbero in gioco i notai che, verificata la regolarità degli statuti e la consistenza del patrimonio dell’ente, dovranno chiedere l’iscrizione nei registri delle persone giuridiche.
Allo stesso modo dovrebbe risultare meglio delineato il concetto di responsabilità patrimoniale degli enti non profit, così come si dovrebbe introdurre l’obbligo del deposito del bilancio annuale al registro delle persone giuridiche, visto che viene introdotta la correlazione tra responsabilità limitata dell’ente con il rispetto di un rapporto tra patrimonio netto e indebitamento della persona giuridica.
Dovrebbe anche essere disciplinata non solo la trasformazione degli enti ma anche la fusione e la scissione e i rapporti associativi. Sebbene vi sia un rimando ai principi di redazione del bilancio previsti dall’art. 2423 del Codice civile, desta perplessità l’utilizzo del termine «rendiconto economico», inadeguato rispetto alla portata della riforma, dalla quale dovrebbe uscire rafforzato il ruolo del registro delle persone giuridiche, quasi quanto il registro delle imprese.
Le questioni in campo dunque sono molteplici e occorre vedere quanto coraggio si avrà nel cambiare un settore che dal 1942 non ha visto grandi riforme (salvo quella del riconoscimento della personalità giuridica e dell’intestazione di alcune categorie di beni da parte di enti senza personalità giuridica), subendo invece la proliferazione di una legislazione speciale non sempre efficace, per non parlare delle schizofreniche norme fiscali.