Attualmente l’indice occupazionale femminile non ha ancora raggiunto livelli accettabili rispetto a quello maschile, per una serie di motivi. Il primo è dato dal timore, ormai radicato nell’azienda, del rischio di ritrovarsi con la postazione lavorativa scoperta per un determinato periodo di tempo, ogni qual volta la donna usufruisce di congedi e permessi previsti dalla normativa.
Un altro freno relativo al mantenimento dei livelli occupazionali da parte di donne che hanno già una occupazione è dato dalla necessità di ridurre le ore di lavoro ogni qual volta una donna diventa mamma. Tali situazioni sono maggiormente radicate in territori, come le regioni meridionali, dove risulta essere maggiore la domanda di lavoro rispetto alla richiesta delle aziende. Per cui l’azienda che si trova nella necessità di dover ricoprire una postazione lavorativa decide di farlo sempre nei modi e nelle maniere meno onerose e rischiose. Attualmente tali ostacoli possono essere superati, applicando due contratti di lavoro previsti dalla riforma Biagi: il contratto di inserimento ed il contratto di lavoro ripartito.
Il contratto di inserimento rende le assunzioni di donne più convenienti rispetto a quelle maschili. Infatti, assumere una donna di qualunque età in territori in cui la disoccupazione femminile è superiore del 10% rispetto a quella maschile e l’occupazione femminile risulti inferiore del 20% di quella maschile (regioni meridionali soprattutto) significa usufruire di agevolazioni di carattere normativo ed economico: la possibilità di inquadrare la dipendente a due livelli inferiori rispetto a quelli previsti per le mansioni svolte e la riduzione contributiva, che prevede le stesse agevolazioni previste per gli ex contratti di formazione e lavoro. L’applicabilità del contratto di inserimento ad una donna non ha vincoli strettamente collegati alla sua età, cosa che non avviene per gli uomini.
L’altra tipologia da tenere presente è quella del lavoro ripartito, nel quale due persone si dividono la prestazione lavorativa a tempo pieno, essendo poi responsabili solidalmente nei confronti del datore di lavoro. Tale formula contrattuale è consigliabile all’azienda ogni qual volta la lavoratrice chiede la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a part time. In questi casi proporre alla lavoratrice la formula del contratto ripartito significa conciliare le esigenze di entrambi. L’azienda infatti non perde una lavoratrice che rappresenta un capitale umano già formato. La lavoratrice poi mette a disposizione della persona, con cui condivide la prestazione lavorativa, il proprio bagaglio di esperienza. In questo modo chi ottiene la trasformazione del contratto fornirà alla azienda sia un servizio lavorativo sia un’opera di tutoraggio. Il contratto ripartito poi è l’unico a prevedere la corresponsabilità dei due lavoratori sull’intera prestazione lavorativa.
La lavoratrice, dal canto suo, accettando il contratto ripartito, non solo raggiunge lo scopo di conservare il posto, ma anche quello di poterlo gestire al meglio. Infatti avendo l’obbligo della corresponsabilità dell’intera prestazione lavorativa con il contitolare del contratto, la lavoratrice ha la certezza di poter scegliere le ore di lavoro che intende svolgere perché le altre verranno comunque coperte dal collega.
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.