Non profit

Banca mondiale, asse a Sud

La perdita di influenza dell'Occidente certificata dai numeri

di Redazione

Per la prima volta la maggioranza dei seggi va ai Paesi in via di sviluppo. E ora tocca al Fondo monetario…Sud 1, Nord 0. La battaglia fratricida che oppone i Paesi in via di sviluppo alle nazioni più ricche del mondo per la spartizione del potere ngli organi decisionali della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale ha reso il suo primo, importante verdetto al termine delle assemblee annuali delle due più importanti istituzioni finanziarie del pianeta. In realtà la partita tra Nord e Sud del mondo si è giocata contemporaneamente in due campi distinti – World Bank e Fmi – con un risultato clamoroso ottenuto dai Paesi poveri ed emergenti presso il consiglio di amministrazione della Banca mondiale, a Washington. Con l’elezione di un terzo rappresentante africano, il Sud conquista per la prima volta la maggioranza dei seggi del consiglio (13 su 25). Una rivoluzione che, se non ribalta totalmente i rapporti di forza con il Nord (i Paesi ricchi rimangono maggioritari sul diritto di veto), pone l’Occidente di fronte all’evidenza: la sua perdita di influenza è ormai un dato di fatto.
Ma contro il corso della Storia, europei e americani hanno saputo offrire una resistenza astuta durante l’assemblea annuale del Fondo monetario internazionale. Il mancato accordo tra Paesi ricchi ed emergenti sui tassi di cambio ha rinviato ogni decisione sulla riforma dei diritti di voto e sulla nuova spartizione dei 24 seggi che compongono il consiglio di amministrazione dell’Fmi. Ma il tempo stringe, il consiglio va rinnovato entro il 1° novembre 2010, un giorno che potrebbe rivelarsi funesto per i Paesi del Sud del mondo. Infatti Brasile, India, Argentina e uno dei due Paesi africani che siedono nel piùalto organo decisionale dell’Fmi rischiano di perdere il loro posto.
I protagonisti della trappola sono le regole complesse del Fondo e gli Stati Uniti che, volendo diminuire il numero di seggi del Consiglio (da 24 a 20) e quelli destinati all’Europa (9), finiranno per colpire i Paesi emergenti e l’Africa. Purtroppo quando si tratta di rafforzare la propria presenza all’interno del Fondo, le nazioni africane non sono prive di colpe. La riforma dei diritti di voto, attualmente sotto monopolio dell’Europa e degli Stati Uniti, prevede una loro redistribuzione a favore dei Paesi in via di sviluppo. Due anni fa le istanze dell’Fmi avevano deciso di rafforzare il peso economico dell’Africa attribuendo voti supplementari ai suoi Stati. Per entrare in vigore, questa decisione deve ottenere la ratificazione di 113 Paesi membri del Fondo, ma oggi siamo fermi a quota 88. Guarda caso tra i ritardatari ci sono il Camerun, il Gabon, l’Uganda e il Senegal.

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