La discussione è aperta anche sul tavolo dell’Abi da diversi mesi: come possono le banche servire meglio il non profit? Il non profit – si può proprio dirlo – questo sconosciuto. Questo mondo di organizzazioni medie, piccole e piccolissime che non si fondano tanto su valori materiali quanto sull’immateriale capitale sociale, ossia sulla relazione di utilità e di fiducia con la società in cui opera. I criteri convenzionali di valutazione bancaria trasformano questa diversità in una penalizzazione, che non riconosce la realtà di un’economia a cui la tenuta complessiva della società italiana – sicurezza vera, accoglienza vera, integrazione vera – è affidata in larga misura. Serve quindi una iperspecializzazione, come quella proposta di Banca Prossima – banca del Gruppo Intesa Sanpaolo, unica in Europa a servire solo il non profit e gli enti religiosi, di cui è amministratore delegato Marco Morganti (nella foto) – per rispondere, ritagliare soluzioni, realizzare un sistema di rating che dà il giusto credito all’economia civile? Da Banca Prossima arrivano solo buone notizie su un dialogo aperto da quasi tre anni: oltre 10mila clienti, una qualità del credito impensabile nell’economia “tradizionale” (0,5 di deterioramento, meno di un decimo di quello delle imprese private), velocità nell’adozione di prodotti pensati su misura. A rivelare una testa imprenditoriale sulle spalle larghe e generose di chi lavora per il bene comune.
Banca Prossima non è una banca non profit. Come ogni altra banca essa realizza ricavi e contiene i costi, anche grazie alle economie derivanti dall’appartenenza a un grande gruppo industriale. Detratto il costo del capitale, però, la misura e la destinazione dei dividendi sono del tutto originali: all’azionista (Intesa Sanpaolo e le maggiori fondazioni collegate al gruppo) può essere riconosciuto non più del 50% dell’ammontare totale; almeno il 50% (il 100% per i primi dieci anni) va invece a un Fondo di garanzia che consente di effettuare impieghi verso soggetti e progetti eleggibili in sé, ma che si discostano ancora troppo dai requisiti minimi di valutazione – pure aperti e inclusivi – della banca.
L’utilizzo del Fondo traccia un’interessante mappa dell’innovazione sociale italiana. Circa il 50% è utilizzato equamente da enti di culto e nel settore delle cooperative sociali, seguito dal 17% impegnato nel settore dell’assistenza sociale. Dal punto di vista geografico, circa il 32% del Fondo impiegato garantisce prestiti nel Sud Italia, a testimonianza di un impegno anche in regioni difficili per gli affidamenti creditizi.
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