Roland Barthes è stato uno dei più grandi intellettuali del 900. Nella sua biografia s’iscrive un rapporto chiave, quello con la madre. All’indomani della sua morte, il 26 ottobre 1977, Barthes iniziò a tenere un diario di straordinaria libertà e sincerità ora pubblicato in Francia (Journal de deuil, Seuil).
8 ottobre 1978. Quanto alla morte, la morte di mia mamma mi ha dato la certezza (sino ad allora astratta) che tutti gli uomini sono mortali – che non ci sarà mai discriminazione – e la certezza di dover morire secondo questa logica, mi ha rappacificato.
22 novembre 1978. Ieri sera, cocktail per i miei 25 anni con l’editore Seuil. Molti amici. «Sei contento?» «Sì, certo» (ma mamma, mi manca). La “mondanità” rinforza la vanità del mondo, dove lei non c’è più. Sento, senza sosta, “il cuore pesante”. Questa lacerazione, molto forte oggi, nella mattina grigia, mi è venuta, penso dalla visione di Rachel, seduta ieri, un po’ appartata, che parlava con gli uni e con gli altri, “al suo posto”, come le donne non sanno più essere, perché non vogliono più un posto – una specie di dignità perduta e rara – che mamma aveva (lei era là, di una bontà assoluta, per tutti, e quindi “al suo posto”).
1° settembre 1979. Non posso simbolicamente astenermi dall’andare, ogni volta che sono a Urt, quando arrivo e quando parto, sulla tomba di mia mamma. Ma arrivato davanti, non so che fare. Pregare? Ma questo cosa vuol dire? Pregare quale contenuto? Semplicemente l’abbozzo fuggitivo di una predisposizione all’interiorità.
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