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Basta giocare in difesa Scocca l’ora del coraggio

Cosa (e come) comunicare da domani

di Redazione

L’11 settembre ci ha costretto a rispondere a mille domande, ad abbattere pregiudizi, a sconfiggere la paura. Adesso è il tempo di affrontare i nostri problemidi Karima Maoul
L’11 settembre ha due volti. È una data importante perché rappresenta il male, la violenza, la paura, ma soprattutto l’ignoranza. Ignoranza sul chi siamo. Che ha permesso ad altri di rappresentarci con voce autorevole senza il nostro consenso: il male uguale l’Islam uguale tutti i musulmani. L’Islam era il terrorismo, la violenza, il regresso e l’inciviltà. E noi marchiati per sempre, sotto una lente d’ingrandimento attenta solo a riproporre immagini e parole che entrassero nella cornice dei titoli appena sopracitati.
In questi anni ci siamo guardati a vicenda quasi come fossimo in “the Truman show”. Solo che questa volta non era un bello spettacolo e il protagonista eravamo tutti noi musulmani, neri bianchi o gialli, credenti, osservanti , praticanti o non praticanti, coscienti o incoscienti.
Eravamo lì, oramai protagonisti della nostra storia, delle nostre radici, della nostra cultura e del nostro essere musulmani. Dovevamo rispondere a mille domande, alle quali non eravamo pronti. Un lavoro di comunicazione straziante per salvare il salvabile, per salvare la faccia. Ma è ancora nulla, perché il lavoro di questi anni ha rappresentato solo i saluti di presentazione. È ora che inizia il nostro lavoro, un lavoro su di noi. Dobbiamo passare alla seconda fase, non possiamo aspettare, non possiamo rimanere solo sulla difensiva, non possiamo solo autoelogiarci, dobbiamo tirare fuori le mele marce che sono ormai sotto gli occhi di tutti, dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio di affrontare i nostri problemi, le nostre carenze, quelle stesse carenze che hanno dimostrato al mondo intero la nostra vulnerabilità e le nostre debolezze.
È per questo che dico l’11 settembre è un male dal quale potrebbe nascere un bene che è quel secondo volto, quell’opportunità che ci sveglia e ci ricorda chi siamo. Che siamo vivi e che dobbiamo partecipare, perché i giochi sono ancora aperti e il futuro non ci aspetta. Invece è la nostra storia che aspetta da molto tempo di essere costruita e continuata da noi, nuove generazioni di musulmani in Occidente. Qui siamo in un territorio neutro, non abbiamo scuse per non prendere coraggio, per non pensare e ripensarsi, per non analizzare ed autocriticarsi, per non guardarsi allo specchio e iniziare ad abbattere quelle barriere che segnano in modo evidente il nostro deficit rispetto agli altri Paesi, e parlo di diritti umani, di libertà già acquisite da decenni, ma che ancora difficilmente riescono ad essere messe sul tavolo di discussione. E dobbiamo anche parlare con tranquillità dei tabù come la libertà di culto, i matrimoni misti senza conversioni ed affrontare di petto i fanatici che parlano a nome nostro. Per non parlare dei deficit di cultura scientifica. Come se “musulmano” e “scienziato” fossero termini incompatibili.
Il luogo dove ci troviamo e l’esperienza del tutto peculiare che viviamo come musulmani d’Occidente, possono essere l’opportunità di un laboratorio per la realizzazione di un think thank composto da intellettuali musulmani che vogliono promuovere il cambiamento, che non si traduce certo con il cambiare la propria religione, ma attraverso un processo illuminato di attualizzazione e di valorizzazione di quella che è la nostra migliore tradizione culturale e religiosa. Perché oggi se devo immaginare e rappresentare il nostro Islam, lo vedo come un albero, che ha le radici ben piantate nel terreno, ma che ancora è senza rami, senza fiori e senza frutti: la primavera possiamo essere noi giovani.

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