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Beduini, vite da sgomberare

di Redazione

Cittadini di serie C, se i palestinesi sono di serie B, perché non godono della solidarietà internazionale dei cittadini della West Bank e Gaza, e la loro causa è quasi sconosciuta ai più: i beduini del deserto mediorientale, nomadi costretti ad essere stanziali, che hanno abitato per secoli le dune del Negev, e che vengono sgomberati con costanza regolare dalla nascita dello Stato di Israele nel 1948, rischiano di perdere i loro ultimi baluardi territoriali perché intralciano i progetti della pianificazione edilizia del governo di Netanyahu, piano conosciuto come E1 (Est1).
Ehud Barak, ministro degli Esteri, ordina altre demolizioni ai loro villaggi di tende e rifugi per animali, ulteriore rinuncia al loro modo di vivere che negli anni, a causa della mancanza di terreni per i pascoli, li ha ridotti ad incontrare tassi di disoccupazione pressoché totali. Anche Amnesty interviene contro lo sgombero forzato di una delle ultime comunità, quella di Ma’ale Adumim: questi beduini «rischiano la distruzione delle loro case e dei loro mezzi di sostentamento, le autorità militari israeliane stanno mascherando il loro piano, facendolo passare come il modo per fornire ai beduini servizi essenziali come l’acqua e l’elettricità. In realtà», scrive Amnesty, «il trasferimento forzato dei beduini non farebbe altro che perpetuare anni di espropri e discriminazione e potrebbe costituire un crimine di guerra».
Altri 2.300 beduini della comunità di Khan al-Ahmar rischiano di essere evacuati dalla Cisgiordania: il loro nomadismo sarà accettato solo se accetteranno di fare base nei pressi della discarica comunale di Gerusalemme, dove lo stesso ministero riconosce «inquinamento di aria e suolo, contaminazione della falda acquifera, rischio di incendi». Potranno essere liberi a 300 metri da 1.100 tonnellate di rifiuti kosher al giorno.

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