Non profit

Beni confiscati, ultimo atto

Storia di una buona legge sotto attacco da anni

di Redazione

Un emendamento alla Finanziaria punta a rimetterli
sul mercato. Così la società civile rischia lo scippo di quasi tutti i 3.200 immobili ancora da destinare Verrebbe quasi da pensare che la maggioranza abbia un conto in sospeso con la legge Rognoni-La Torre (n. 565/75). L’ormai famoso emendamento Saia, dal nome del senatore Pdl (ed ex An) che è stato inserito in Finanziaria nel suo passaggio a Palazzo Madama, infatti è solo l’ultimo attentato alla norma che regola la vendita dei beni confiscati. Il testo recita: «I beni (?) di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse ivi contemplate entro i termini previsti dall’articolo 2-decies (180 giorni dalla confisca definitiva, ndr), sono destinati alla vendita». Se la Camera, come pare, non modificherà questo passaggio, alla società civile sarà sottratto il 90% di tutti i beni ancora da destinare a finalità pubbliche.
Al momento infatti «quasi tutti i 3.200 immobili ancora da destinare appartengono a uno stock che anche per criticità derivanti da ipoteche, confische pro quota e occupazioni, sono stati rifiutati dai Comuni e da anni fanno parte del residuo di gestione», spiega Davide Pati dell’Associazione Libera (in prima linea insieme ad altre associazioni come le Acli e il Cnca nel chiedere la cancellazione dell’emendamento Saia). Questo significa che «potenzialmente quasi tutto il patrimonio disponibile potrebbe essere venduto». Con il rischio concreto che senza stringenti procedure di trasparenza (ma il ministro Roberto Maroni ha assicurato che ci saranno), i beni ritornino nelle mani degli stessi mafiosi.
Ma questo è solo l’ultimo anello della catena. I primi scossoni alla legge arrivano già nel 2003 quando il governo, anche allora di centrodestra, cancella la figura del commissario straordinario, previsto dalla legge e reintrodotto poi nel 2007 da Prodi, e affida tutto il procedimento all’Agenzia del Demanio, organismo assolutamente impreparato ad affrontare le dinamiche legate alla confisca e alla destinazione.
Ma è nell’ultimo anno che l’offensiva si fa più dura, perché arriva a minare seriamente un meccanismo finalmente ben oliato. Nel 2008 infatti, dopo un complessa riorganizzazione interna, l’Agenzia del Demanio raggiunge un risultato storico, con 1.438 destinazioni. Così al giugno 2009 le destinazioni raggiungono quota 5.407 a fronte dei 3.213 beni ancora in gestione. Un dato incoraggiante. Come tutta risposta, però, il ministro Maroni mischia di nuovo le carte in tavola e nel pacchetto Sicurezza del luglio 2009 affida la destinazione dei beni direttamente ai prefetti. In più si impone un termine massimo di 180 giorni alla chiusura di tutto l’iter di assegnazione: 90 giorni per la proposta di destinazione formulata dal direttore dell’Agenzia del Demanio e altri 90 per la firma del decreto di destinazione da parte del prefetto. «Dall’oggi al domani si chiama in causa un organismo che, seppur fondamentale nel rapporto con i Comuni e i soggetti destinatari, non è ancora attrezzato per gestire il processo di destinazione», sottolinea Pati. «E per di più si impone un tempo brevissimo per la conclusione dell’iter». Nel frattempo alla direzione dell’Agenzia del Demanio è arrivato l’ex amministratore delegato di Alitalia, Maurizio Prato, chiamato dal governo Berlusconi all’inizio del 2008. Prato spinge per una repentina accelerazione delle destinazioni. Il risultato? «L’Agenzia sta scaricando sulle scrivanie dei Prefetti decine di proposte di destinazione di beni spesso indestinabili, perché gravati da ipoteche e da criticità rilevanti», rivela Pati.
Il rischio dunque è di limitare all’osso le assegnazioni che, tra il 2007 e il 2008, erano arrivate alla media di 70-80 al mese. Al Senato intanto si discute la Finanziaria 2010. È qui senza preavviso piomba in Aula l’emendamento Saia. Che mantiene il termine dei 180 giorni. Finora però delle 5.407 destinazioni, quelle che hanno rispetto il termine ipotetico si contano sulle dita di una mano.

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