H o letto e riletto il comunicato emesso dal Comitato nazionale per la bioetica, e non nascondo un senso di smarrimento, se non di delusione. Non sono all’altezza di pensatori di così grande livello, e sono pienamente consapevole della complessità delle questioni affrontate. Eppure mi aspettavo maggiore chiarezza e condivisione.
Trovo invece soprattutto un tentativo palese di trasparenza, ovvero di dichiarazione onesta delle divergenti opinioni fra i componenti di estrazione cattolica e gli altri. È chiaro che non si può chiedere a un Comitato di questo tipo di sostituirsi al legislatore, ma sicuramente il parere espresso, difficile da leggere per chi non ha una laurea in filosofia, è destinato a essere tirato da una parte e dall’altra confermando la situazione di stallo ideologico attorno al tema della fine o della difesa della vita. È importante che si ribadiscano per i medici alcuni riferimenti fondamentali, come il consenso effettivamente informato alle cure.
Ma francamente io leggo solo questioni di metodo, e nessuna risposta di fondo alla domanda fondamentale: esiste o no una possibilità di indicare la propria volontà rispetto alla interruzione delle cure, in situazione di estrema gravità e non autonomia? Esiste e fino a che punto la possibilità di comprendere quale sia la volontà di ogni malato in simile situazione? Esiste una differenza fra le indicazioni morali e il diritto individuale a comportamenti divergenti da tali indicazioni, anche quando questo comporti la necessità di una decisione drammatica circa l’interruzione o la non messa in atto delle cure?
E invece siamo rimasti a un generico accordo sul non accanimento terapeutico, fra mille distinzioni che lasceranno la coscienza a posto ai singoli, ma non ci aiutano a capire e a decidere. Mi sembra un’altra occasione perduta. Peccato.
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