Welfare
BIOETICA. Pessina: “Inquietante il diritto di selezionare i figli generati”
Il Centro di Bioetica della Cattolica contesta la sentenza di Bologna
di Redazione
La recente ordinanza del Tribunale di Bologna riscrive di fatto la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. In un solo colpo viene vanificato il lungo dibattito che si è avuto nel Paese e nel Parlamento, rendendo carta straccia tutte le riflessioni dedicate alle problematiche etiche della generazione umana tese a garantire il riconoscimento e il valore della vita embrionale, anche se malata.
L’ordinanza, infatti, prevede che alle tecniche di procreazione medicalmente assistita possano ricorrere anche coppie non sterili che hanno già avuto figli, ma che sono nati con gravi patologie, così da poter generare e selezionare gli embrioni e decidere quali destinare all’impianto e quali congelare. In questo modo queste tecniche cessano di essere pensate come “terapie” in senso lato per la sterilità, e diventano mezzi per il “controllo di qualità” dei figli generati in provetta e successivamente selezionati in base a criteri di salute. Niente di diverso rispetto all’eugenetica, se non il fatto che non è imposta dallo Stato.
Di fatto della legge 40 resta soltanto il divieto alla fecondazione eterologa, visto che questa ordinanza prevede addirittura la generazione di un minimo di 6 embrioni (contro una legge che ne prevedeva un massimo di tre!). Un salto in avanti, perché in questo modo si legittima un diritto di vita e di morte sul generato che nemmeno la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza aveva mai direttamente avallato.
Generare “con riserva” un figlio per poi decidere se permettergli o no di continuare a vivere in base alle sue condizioni di salute è compatibile con i due postulati della democrazia occidentale che prevedono l’uguaglianza di tutti gli uomini e la loro pari dignità? Questa impostazione va oltre il dibattito sull’aborto perché pone direttamente nella volontà dei futuri genitori il diritto alla selezione dei figli generati, consegnati di fatto alla tecnologia riproduttiva e alle sue logiche.
Al di là del numero di persone che vorranno usare questa tecnica, è inquietante il messaggio che passa: la malattia torna ad essere considerata una condanna che esclude il malato dalla sfera dei diritti fondamentali. Inoltre c’è un problema generale che va considerato, specialmente nel campo della bioetica si assiste ad una trasformazione delle leggi attraverso l’operato dei giudici: l’oggettività della legge è vanificata dalla pluralità delle sentenze. Il diritto che una generazione si confeziona diventa la morale di quella successiva: un caso può diventare la via per introdurre di nuovo l’idea che ci siano vite non degne di essere vissute.
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