Welfare
Bisogni al centro e più spazio alla società civile
Il punto sulla legge 328: la ricetta di Federsolidarietà. Necessaria la partecipazione attiva dei soggetti del Terzo settore attivi sul territorio. Di Valerio Luterotti
di Redazione
La legge quadro 328 del 2000 ha rappresentato una forte innovazione per le politiche sociali; oltre ad essere la prima legge quadro sull?assistenza sociale, ha modernizzato le premesse concettuali ed organizzative dei sistemi di welfare, sostituendo la centralità dello Stato nella pianificazione e nella gestione dei servizi, con la concertazione dei soggetti locali pubblici e privati, secondo il principio della sussidiarietà verticale e orizzontale.
Nella legge 328 si individua anche lo sforzo nella sperimentazione di nuovi strumenti contrattuali tra pubblica amministrazione e privato sociale, oltre alla riconversione di alcuni istituti tra cui le Ipab, regolate dalla legge Crispi del 1890.
Ritardi e resistenze
La sua attuazione è stata ostacolata da alcuni fattori derivanti dalle resistenze conservative proprie degli apparati istituzionali chiamati a rivoluzionare procedure e protocolli ma, prima ancora, dal ritardo di molte Regioni nel recepire la legge 328. Dal punto di vista del panorama politico più generale, si sconta anche la contraddizione dovuta alla centralità nazionale mantenuta nello spirito della legge 328 a fronte di una forte accelerazione avviata con la modifica del Titolo V della Costituzione nella direzione del decentramento amministrativo.
Quindi la legge 328, pensata come una normativa a centralità nazionale (Fondo nazionale politiche sociali, linee guida, definizione dei modelli progettuali per le buone prassi, ecc.) è stata in parte vanificata dalla ridefinizione delle titolarità istituzionali spostate nelle Regioni e nei Comuni (peraltro auspicata nel suo valore di aumentata titolarità alla cittadinanza attiva locale), generando ritardi attuativi ed un aumento della differenziazione dei sistemi di welfare locali, a livello assistenziale e sanitario.
Mentre l?impostazione della 328 prevedeva un ruolo allo Stato anche nella definizione dei sistemi organizzativi per l?erogazione dei servizi, oggi dovrebbe esclusivamente definire le prestazioni ?minimali?, lasciando alla Regioni la completa autonomia nella definizione dei sistemi organizzative e gestionali per garantirle.
Cittadino al centro
Oggi in relazione alle funzioni di esclusiva competenza statale, è fondamentale procedere alla definizione dei Liveas (livelli essenziali di assistenza) per assicurare a tutti i cittadini livelli uniformi di soddisfazione dei bisogni, come previsto dagli articoli 4 e 20 della legge 328. Ad ottobre 2006 si è insediata la Commissione interministeriale per l?individuazione dei livelli essenziali di assistenza in ambito sociale presso il ministero della Solidarietà sociale (con il limite, secondo noi, che non prevede la partecipazione della rappresentanza del terzo settore).
Dal nostro punto di vista, la definizione dei Liveas, piuttosto che standardizzare i servizi considerati minimali, dovrebbe orientarsi a definire i bisogni essenziali dei cittadini che vanno soddisfatti. Più precisamente, dovremmo assumere il cittadino e i suoi bisogni come obiettivo minimo da tutelare, più che alcune prestazioni erogatorie avulse dalla loro reale efficacia ed efficienza; ciò per spostare il luogo della qualità attesa dalla procedura produttiva dei servizi alla reale soddisfazione degli utenti, per promuovere la valorizzazione delle risorse locali, con la partecipazione attiva dei soggetti di terzo settore e per premiare la differenziazione attuativa dei servizi nei diversi territori, attivando tutte le risorse, anche aggiuntive, economiche umane e relazionali proprie delle reti informali esistenti.
La soddisfazione dei bisogni, quindi, valutata e perseguita rapportando i servizi che già sono erogati e le risorse informali presenti con la centrale soggettività del sistema cliente, al fine di programmare nuovi interventi coniugando la sostenibilità economica con la qualità (tecnica ed umana) del servizio; ad esempio, a fronte di uno stesso bisogno, alcune realtà necessitano di una sofisticazione dei sistemi di residenzialità temporanea, altri della diffusione e specializzazione delle forme di domiciliarità assistita.
Sosteniamo quindi un approccio orientato alla definizione dei bisogni essenziali piuttosto che un approccio orientato all?esaustività standardizzata del sistema erogatorio dei servizi.
Partner per le soluzioni
Riteniamo, poi, importante valorizzare e promuovere le diverse variabili morfologiche della società civile, nella duplice veste di espressione dei bisogni ma anche di partner nella responsabilità delle soluzioni per il bene comune.
Questa prospettiva trova la cooperazione sociale coinvolta, in piena coerenza con la propria missione ed il proprio patrimonio storico-culturale.
Di Valerio Luterotti,
direzione Federsolidarietà
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