Campioni di solidarietà
Bonimba in carcere: «Racconterò che dalle sconfitte ci si rialza»
Il campione di Italia-Germania 4-3, a settembre sarà nel carcere della sua Mantova per incontrare i detenuti. L'occasione sarà "Bracconieri di storie: raccontare lo sport per raccontarsi", progetto che mette insieme sportivi, scuole e volontariato a favore dei detenuti. «Quando mi capita di passare davanti al cancello d’ingresso del carcere di via Poma, mi viene spontaneo pensare a quelli che sono lì dentro»

Roberto Boninsegna, sarà uno degli sportivi più attesi di Bracconieri di storie: raccontare lo sport per raccontarsi, la cui seconda edizione prenderà il via in settembre nel carcere di Mantova, sua citta natale nel 1943. Il giocatore, Bonimba per i tifosi, ha militato, tra gli anni ‘60 e ‘70 nel Cagliari dello scudetto con Gigi Riva, nell’Inter, nella Juve, oltre a vestire la maglia della Nazionale ai mondiali di Mexico ‘70 di cui è stato un protagonista (aprì le segnature, nel mitico Italia-Germania 4-3 e fu l’unico marcatore azzurro nella sconfitta contro il Brasile di Pelé).
Perché ha accettato di partecipare a questa iniziativa?
Ho accettato perché sono curioso di conoscere da vicino un mondo che ci arriva con immagini distorte. Sento spesso parlare di carceri sovraffollate, di convivenza tra i detenuti. Vorrei capire bene quali sono i problemi reali e dove, invece, arriva la speculazione politica. Mio padre era un operaio che lavorava in fabbrica, sono stato educato fin da ragazzo ai principi della solidarietà, soprattutto verso le persone più deboli. Non aderisco a un partito specifico, però mi considero un uomo di sinistra, perciò sono sensibile ai problemi di carattere sociale. Quando mi capita di passare davanti al cancello d’ingresso del carcere di Mantova, in via Poma, mi viene spontaneo pensare a quelli che sono lì dentro.
Che cosa si aspetta di trovare dentro le mura del carcere?
Molta umanità. Qualcosa della realtà carceraria mantovana mi è stata riferita dagli altri ex-calciatori che hanno raccontato anche in un podcast le loro sensazioni. Parlo di Claudio Valigi, che ha contribuito a vincere uno scudetto con la Roma e di Claudio Turella, ex calciatore del Parma, del Mantova e del Foggia. So che c’è stato subito un feeling particolare con i ragazzi del carcere, i quali hanno ascoltato con interesse le storie di un calcio che veniva raccontato loro finalmente dal vivo, senza filtri. È questo che mi aspetto: ragazzi con cui condividere le emozioni che lo sport regala sempre sia a chi lo pratica sia a chi lo vive da tifoso.

Pensando alle persone che incontrerai che idea ti sei fatto della vita in carcere?
Mi viene da pensare alla monotonia, alla noia, alla disperazione. Mi sono chiesto: se fosse toccato a me vivere un’esperienza del genere come avrei reagito? Ho bisogno di spazio, soffro di claustrofobia, faccio persino fatica a entrare in ascensore. Penso che ad aiutarli ad accettare situazioni del genere, così lontane dalla nostra vita quotidiana, possano contribuire i rapporti di solidarietà, che nascono all’interno del carcere.
In che modo?
La pratica dello sport può diventare una corsia preferenziale: il calcio che è uno sport di squadra, può favorire la conoscenza reciproca. Quando inseguiamo un pallone per prenderlo a calci ci riveliamo sempre per quello che siamo nella realtà: ci facciamo riconoscere, non abbiamo uno schermo che nasconda le emozioni. Ecco perché proprio lo sport può diventare, anche all’interno del carcere, uno straordinario mezzo per favorire la solidarietà e per rendere più sopportabile la reclusione. Ho ascoltato nel podcast realizzato a Mantova gli interventi di alcuni ragazzi del carcere. Quasi tutti hanno ricordato con nostalgia episodi dello sport che praticavano da bambini. La passione per lo sport, nonostante gli anni e le varie traversie, è sempre rimasta tale.
Come altri sportivi che ti hanno preceduto racconterai la tua vita per diventare un campione del calcio. Che cosa vorresti trasmettere a quei ragazzi?
Nella vita tutto va perseguito con fiducia e con tenacia. Le doti naturali da sole non bastano e neppure quelle tecniche, bisogna sapere accendere il fuoco che abbiamo dentro. Il calcio è prima di tutto un gioco, anche quello che diventa una professione ben remunerata. Con Gigi Riva, nel Cagliari, abbiamo legato subito perché siamo partiti dalla gavetta, venivamo entrambi da famiglie di operai: ad accettare i sacrifici, che poi non erano tali, ci hanno abituato i nostri genitori. Nei momenti più grigi bisogna avere il coraggio di andare avanti senza cercare scorciatoie, se ci si comporta bene la vita finisce sempre per regalarci un’opportunità. A me è capitato al Mondiale del Messico 1970, che mi ha visto protagonista quasi per caso, quando non ero stato neppure convocato. Ma anche la mia storia con l’Inter è particolare: dopo cinque anni di settore giovanile e tre anni di prestiti in giro per l’Italia a Prato, a Potenza e a Varese, mi hanno ceduto al Cagliari, squadra che allora era considerata l’ultima delle provinciali. Mi è crollato addosso un mondo che avevo costruito con tutti i miei sogni, ma è saltato fuori un carattere che neppure io conoscevo: mi sono rimboccato le maniche per inseguire la rivincita e tre anni dopo l’Inter mi ha riacquistato pagando una somma 10 volte superiore a quella che aveva incassato con la cessione. Una soddisfazione enorme ma al tempo stesso una scoperta, quella di possedere il carattere di uno che non si arrende mai. Ai ragazzi del carcere dirò di guardarsi dentro per andare alla ricerca del guerriero che accetta le sconfitte e che trova sempre la forza di rialzarsi.

Insieme, sport, volontariato e scuola
Il progetto Bracconieri di storie. Raccontare per raccontarsi nasce da un’idea di Adalberto Scemma, giornalista sportivo e Marina Baguzzi, volontaria nel carcere di Mantova. Alcuni campioni dello sport, tra i quali il tuffatore olimpionico Massimo Castellani, Learco Guerra, nipote del grande ciclista, i calciatori Turella e Valigi, hanno incontrato i ragazzi della Casa circondariale mantovana, che frequentano le medie e il mono-ennio. Durante gli incontri, nove in tutto, dopo aver ascoltato il percorso agonistico raccontato dai protagonisti – occasione di riflessione sull’importanza del rispetto delle regole e degli avversari, sui sacrifici da fare per raggiungere obiettivi sportivi – i detenuti hanno parlato dei loro campioni preferiti e della loro esperienza di sport da bambini. Coordinati dal loro professore di italiano, Nicola Guerra, hanno scritto elaborati e realizzato un podcast.
Nella foto di apertura, di LaPresse come l’altra nel corpo dell’articolo, Roberto Boninsegna durante la semifinale della Coppa Rimet del 1970, fra Italia e Germania.
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