Non profit
Bruxelles non ce l’ha con Roma, ma l’Europa non farà sconti
L'eurodeputata Lara Comi sulla direttiva anti ritardi
di Redazione
Non è l’unico ad accumulare ritardi nei pagamenti, il Belpaese. Ma se si guardano le medie altrui, c’è da arrossire: in Italia 180 giorni sono la norma, mentre la pubblica amministrazione francese si preoccupa se accumula 64 giorni di troppo. Di contro in Germania e Gran Bretagna il ritardo medio è rispettivamente di 35 e 47 giorni. Come mai allora il parlamento comunitario si è preoccupato di scrivere e approvare una Direttiva europea (la 2011/7) che, di fatto, focalizza un problema che è specialmente di alcuni?
«Questo testo si inserisce nella volontà di costruire un’Europa che sia tale a tutti gli effetti», risponde Lara Comi, eurodeputata Pdl che ha seguito da vicino i lavori, «occorre poter contare su una tempistica omogenea anche per quanto riguarda la riscossione delle fatture, se si vuole che quello europeo sia un mercato al di là della moneta unica».
Insomma, non è stata fatta una legge europea solo per mettere sotto controllo l’indisciplinata Italia? «Certo ritardi così gravi non aiutano nessuno, ma non c’è alcun sorvegliato speciale. Anche in Germania ci sono regioni i cui enti locali pagano con settimane di ritardo». «Del resto», prosegue l’eurodeputata, «per contrastare questo fenomeno si potrebbe lavorare sul patto di stabilità cercando di renderlo più flessibile, ma questa è una materia squisitamente nazionale». Viceversa la prospettiva comunitaria spiega questa direttiva sui ritardi e altre iniziative allo studio. «Stiamo lavorando sull’ipotesi di una aliquota comune», conferma Comi, «e quindi di una struttura armonizzata dell’imposizione, possibilmente allineata verso il basso. Nello stesso tempo è in preparazione una direttiva che riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali». Perché la libera circolazione non sia solo della finanza o dei soldi, occorre che i titoli per esercitare il proprio mestiere nei diversi Paesi dell’Unione siano in qualche modo paragonabili. Oggi ad esempio in alcuni Paesi si diventa dentista dopo tre anni di studio universitario, mentre in Italia il cursus studiorum è ben più lungo. Quanto ai tempi delle riforme sono decisamente diversificati. «Per parificare Iva e Irpef c’è ancora da lavorare almeno un anno, mentre entro sei mesi potrebbe essere pronto il testo sulle qualifiche. Assieme alla direttiva sui ritardi nei pagamenti, queste iniziative», conclude l’eurodeputata, «tracciano con determinazione una strada importante verso una politica fiscale europea e quindi verso una autentica integrazione comunitaria».
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