Welfare
Cannabis, il polverone-fuffa sulla legalizzazione
A scatenarlo ci hanno pensato Vendola e la Lega. Ma il dibattito fra probizionisti e antiproibizionisti è vecchio di 20 anni e non ha mai avuto ricadute concrete sulla vita delle famiglie e dei ragazzi. Gli educatori e le comunità sapranno voltare pagina?
di Redazione

Prima l’assessore lombardo della Lega Gianni Fava, poi il deputato del Carroccio Gianluca Pini, quindi il governatore pugliese di Sel Nichi Vendola. Uno dopo l’altro a chiedere la legalizzazione della cannabis. A cui naturalmente hanno fatto seguito le consuete prese di posizione e polemiche all’interno (in primis l’onnipresente Matteo Renzi) e fuori dai partiti. La comunità di San Patrignano per esempio in una nota ha espresso preoccupazione «per le recenti e intollerabili dichiarazioni di alcuni esponenti politici in merito ad una possibile depenalizzazione e legalizzazione della cannabis, in cui sono tornati a trattare ancora una volta con disarmante leggerezza, pressappochismo e mancanza di competenza un tema che interessa il futuro delle nuove generazioni».
Naturalmente nessuno può pensare davvero che questo parlamento e questa maggioranza possano mettere mano alla Fini-Giovanardi, che pure di difetti ne ha non pochi, primo fra tutti l’eccessivo ricorso alle pene detentive per i reati di droga. Ma non è questo il punto. Il punto vero è che dopo 20 anni e più di dibattito su droghe leggere/droghe pesanti, proibizionismo/antiproibizionismo ormai è evidente che posta in questi termini la questione non ha alcuna ricaduta (positiva o negativa che sia) né sulla capacità della famiglie di fare argine all’uso di stupefacenti dei propri figli, né sul tasso dei consumi (e per verificarlo basta fare una passeggiata in qualsiasi parco pubblico all’ora del tramonto). Sono semplicemente polemiche cicliche che servono come certificato in vita di qualche politico, funzionali solo a conquistare qualche titolo o qualche comparsata in talk show televisivi o al massimo unb pugno di followers su twitter, cavalcando il polverone di qualche giorno. Un giochino trito e ritrito in cui spesso rischiano di cadere anche gli educatori delle comunità terapeutiche incapaci di resistere alla tentazione di alzare la propria bandiera per convinzione e con sincera preoccupazione, ma talvolta per convenienza o ancora per l’ansia un pizzico di visibilità pubblica in più (che pure meriterebbero per quello che fanno quotidianamente).
Ma perché allora non cogliere l’occasione per ribaltare il tavolo? Per dire alla politica che del braccio di ferro sul proibizionismo non ce ne importa nulla. Che servono strumenti innovativi e concreti per stare a fianco dei ragazzi e delle loro famiglie, non vuote polemiche per tornaconti personali.
Perché le comunità non fanno fronte comune per chiedere per esempio un vero rilancio del servizio civile (oggi ridotto in misere briciole), l’implementazione di vero un Piano Giovani anti Neet o una riforma della scuola che consenta ai nostri bambini e adolescenti di non dover cambiare tre insegnanti ogni anno e quindi di ridurre i tassi di abbandono?
È venuto il momento di rottamare le polemiche fra proibizionisti e antiproibizionisti che in fondo servono solo a non cambiare.
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