Cultura

Cap Anamur: Mioli (Cei), almeno la protezione umanitaria

Padre Bruno Mioli, direttore dell'ufficio Migrantes della Cei, ''sarebbe giusto portare avanti almeno un provvedimento di protezione umanitaria''

di Redazione

Anche se agli immigrati della Cap Anamur fosse rifiutato l’asilo politico, a giudizio di padre Bruno Mioli, direttore dell’ufficio per la pastorale degli immigrati e profughi della fondazione Migrantes della Cei, ”sarebbe giusto portare avanti un provvedimento di protezione umanitaria”. Dal canto suo padre Cosimo Spadavecchia, il missionario che nei giorni scorsi e’ rimasto a fianco dei 37 profughi, parlando con l’agenzia missionaria Misna, dice di non avere dubbi sulla nazionalita’ sudanese ”di molti di loro”. Quanto alle dichiarazioni citate dal Viminale di un diplomatico sudanese, che nei giorni scorsi avrebbe incontrato i profughi negandone la provenienza, la Misna riporta le affermazioni di ”uno dei massimi rappresentanti della diaspora sudanese in Italia, che mantiene l’anonimato per ragioni di sicurezza personale”, il quale ha chiesto ”quale interesse potrebbe avere il console sudanese a confermare che tra i profughi della Cap Anamur vi siano dei suoi connazionali, magari provenienti dal Darfur?”. L’uomo sottolinea che il diplomatico ”dovrebbe semmai spiegare perche’ scappano dal Paese. Khartoum, d’altronde, da tempo cerca di sminuire l’entita’ della guerra in Darfur per non causare troppi danni alla sua immagine internazionale”. A convincere padre Spadavecchia, comboniano, che ha passato piu’ di trent’anni della sua vita tra il Sudan e l’Egitto, della nazionalita’ sudanese di alcuni profughi sono, ”i loro nomi”, ”il loro modo di salutarsi al mattino e alla sera”, ”la maniera in cui pregano, sia i musulmani che i cristiani”, ”le loro reazioni alla situazione disperata in cui si trovano”. ”Ma, soprattutto, la loro origine sudanese e’ emersa chiaramente dal modo in cui hanno condotto la conversazione con me sia in arabo che in inglese”. ”Si spera – dice infine p. Mioli, parlando al Sir, l’agenzia promossa dalla Cei – che questa fibrutta’ storia, dia una qualche scossa all’irresponsabile immobilismo del mondo occidentale sulla drammatica sorte del Sudan, dove e’ in corso una scatenata persecuzione contro popolazioni non islamiche, e di altri Paesi sub-sahariani dove non e’ la persecuzione, ma la fame e il degrado oltre ogni limite di sopportabilita’ a fare le vittime e a spingere alla fuga”.

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