Cultura

Capitalismo

"Il capitalismo è il tempo. Il nostro è un tempo capitalistico. Ma non è eterno. E mi piacerebbe", afferma Cristina Marcuzzo, "che lasciasse più spazio a comportamenti non finalizzati al profitto

di Redazione

La parola capitalismo è relativamente giovane. Ricorda Jack Goody nel suo recente Capitalismo e modernità. Il grande dibattito (Raffaello Cortina) che il termine, riferito a un sistema economico generale, compare per la prima volta nel racconto di William Thackeray del 1854, La famiglia Newcome, anche se poi in
concomitanza la nozione viene accolta e approfondita da Karl Marx. Eppure in poco più di un secolo e mezzo, il concetto ha subìto profonde trasformazioni
così che taluni preferiscono parlare di ?capitalismi?, al plurale.

Sostiene ad esempio Richard Freeman, economista di Harvard, che oggi sarebbe auspicabile un capitalismo americano con meno greed (avidità) e un capitalismo europeo,invece, che ne avesse di più. E comunque «non farebbe male agli americani abolirne una quota più consistente di quella che gli europei farebbero bene ad aggiungere». Nel pregevole volumetto di Giorgio Ruffolo
Lo specchio del diavolo (Einaudi) da pochi giorni in libreria («una cavalcata nella storia dell?economia» l?ha definito il regista Luca Ronconi che ne ha tratto il soggetto per uno spettacolo), l?autore senza mezzi termini afferma
che «nel giorno del giudizio, di fronte al Tribunale Supremo della storia, qualcuno dovrà spiegare perché nel nostro tempo le risorse destinate a inondare incessantemente il mercato di nuove generazioni di gadget siano state negate alla cura dell?ambiente, alla sicurezza delle infrastrutture, alla protezione del territorio, alla promozione della cultura». Insomma, di carne al fuoco
per provare a capire come è evoluta e come continua ad evolvere una delle parole cardine della nostra vita (piaccia o meno, è così) c?è n?è fin troppa. E lo facciamo con Cristina Marcuzzo, ordinario di Economia politica e direttrice
del dipartimento di Scienze economiche dell?università La Sapienza di Roma.
Vita: Professoressa, che significato ha assunto oggi la parola capitalismo? Quale il suo tratto maggiormente distintivo?
Cristina Marcuzzo: Io direi che il cambiamento più importante che c?è stato nell?uso di questa parola, rispetto all?Ottocento o allo stesso dopoguerra, risieda nel fatto che il capitalismo allora veniva immaginato in contrapposizionea qualcos?altro. Questo qualcos?altro poteva essere rappresentato, per esempio, dal feudalesimo o dalle società mercantili che precedono il capitalismo. Ciò rimane vero fino a che il capitalismo, inteso come particolare sistema di produzione e di distribuzione che condizionai rapporti di classe, caratterizza tutto l?Ottocento e si connota come qualcosa di avanzato, di tecnologicamente superiore rispetto a un mondo arretrato. Dopo il 1918, con la rivoluzione bolscevica, il capitalismo viene ad assumere ancora una volta un significato di contrapposizione rispetto a un sistema fondato sulla proprietà dei mezzi di produzione collettiva. E tutto questo rimane vero fino al crollo del muro di Berlino.
Vita: John Stuart Mill sosteneva che l?impresa capitalistica avrebbe svolto una funzione ?transitoria? nei sistemi economici. Se ne può dedurre, da ciò che lei afferma, che il capitalismo sia durato più del dovuto proprio perché si è trovato ad assolvere a una funzione difensiva, di contrapposizione? Marcuzzo: Intanto vorrei fare una distinzione tra capitalismo inteso come sistema e capitalismo inteso, invece, come modalità di conduzione della produzione che può o non può seguire i principi capitalistici. Quanto ho appena affermato è riferito all?idea di capitalismo come sistema. Ossia come a una rete di relazione, di rapporti, in cui l?aspetto della produzione rappresenta una delle modalità che poi supporta altre forme di distribuzione, di potere, consenso, di democrazia. L?aspetto della produzione è una delle caratteristiche del capitalismo. Certo fondante, ma non l?unica. Perché è chiaro che il capitalismo senza un sistema di libertà, di democrazia, senza i rapporti di classe, non sarebbe un sistema. Mentre noi possiamo immaginare dei sistemi di produzione all?interno di un sistema capitalistico, in cui la motivazione, l?organizzazione della produzione può modularsi in maniera non esclusiva di ricerca del profitto o solo di mercato.
Vita: Non di rado capitalismo ed economia di mercato sono usati come sinonimi. Che differenza c?è tra le due espressioni?
Marcuzzo: Nell?ambito del capitalismo l?economia di mercato costituisce una delle modalità di scambio della produzione perché il capitalismo, come sappiamo bene, è fatto anche di monopoli, di ruolo pesante dello Stato,
di gruppi di potere. Insomma, di tante cose.
Vita: Quali sono le peculiarità imprescindibili del capitalismo?
Marcuzzo: Io credo che Marx le abbia individuate molto efficacemente: il capitalismo è un sistema di produzione e di riproduzione di rapporti sociali. Questa è una buona definizione. Naturalmente ciò che non condivido di Marx è la sua visione teleologica. Il capitalismo produce classi sociali, cioè modalità di relazioni all?interno delle classi. Quello che Marx non aveva intuito è che queste classi o questi ceti mutano. Il capitalismo produce classi medie piuttosto che proletarizzazione dei lavoratori. Per esempio, oggi il ceto finanziario, quello che ruota attorno ai servizi finanziari con tutti i loro andamenti positivi e negativi, come si è visto nelle crisi di Wall Street, sono
ceti che poi hanno un ruolo dentro la loro collocazione sociale, con le loro modalità di consumo, con il consumo opulento.
Vita: Lo storico Fernand Braudel sosteneva che «il capitalismo è una cometa cinica, calcolatrice, pronta ad abbandonare cieli a lungo prediletti per raggiungerne altri, remoti, impensati e più propizi». Secondo lei verso quali
cieli si sta spostando oggi il capitalismo?
Marcuzzo: Non parlerei tanto di spostamento ma di contestualizzazione.
Faccio un esempio: il capitalismo è più globalizzato? Io credo che ciò non riguardi tanto il capitalismo quanto l?informazione. I sistemi di comunicazione
di fine Settecento sono arcaici rispetto a quelli dei giorni nostri. Se però li mettiamo a confronto con quel-li del 1200 hanno la velocità di internet. Il capitalismo di oggi in che misura è diverso da quello di ieri? In tutto. Però la questione va posta in termini diversi. La domanda più importante è: quali trasformazioni ci sembra che contribuiscano a delineare una tendenza per il futuro?
Vita: Quali?
Marcuzzo: A me piacerebbe che il capitalismo fosse un sistema che lasciasse sempre più spazio ai comportamenti non finalizzati al profitto.
Vita: Il capitalismo è, quindi, una variabile dipendente del tempo?
Marcuzzo: Il capitalismo è il tempo. Il nostro tempo è un tempo capitalistico. E mi chiedo: quanto durerà questo innamoramento diffuso per il mercato?
Vita: La domanda a questo punto è scontata: che nessi ci
sono tra capitalismo e non profit?
Marcuzzo: Keynes affermava che se noi dovessimo immaginare che l?imprenditore fa le cose solo per il profitto non ci spiegheremmo l?esistenza delle piramidi. Tutti i grandi segni che l?uomo ha lasciato sono sempre stati il
risultato di motivazioni più grandi e complesse. La dimensione creativa non può essere mai costretta dentro la dimensione del calcolo economico, della valutazione se si guadagna o non si guadagna. Fare una cosa solo perché ci si attende un profitto è così riduttiva che non è una molla per quasi niente. Il non profit, da questo punto di vista, è una garanzia di apertura alla possibilità di fare e agire in un modo che se rimanesse circoscritto entro la
logica del profitto, non si ?rivelerebbe? mai.
Vita: Che capitalismo ci attende?
Marcuzzo: Bisogna vedere innanzitutto quanto il sistema europeo terrà. Quindi, quanto i nostri destini siano incollati alla dimensione europea. Una balcanizzazione dell?Europa non è da escludere. Alla fine ciò che tiene insieme
può essere un collante più debole di quello che fa scappare. E se questo succede l?esito finale è un capitalismo diverso da quello in cui l?Europa, allargandosi, si rafforza e riesce a contrapporsi all?Asia e agli Stati Uniti.
Vita: È possibile immaginare un capitalismo di matrice
prevalentemente italiana?
Marcuzzo: Francamente no. Non c?è spazio, a mio avviso, per un capitalismo italiano al di fuori di un capitalismo europeo. Anche se il capitalismo europeo deve ancora nascere. Ciò che finora non si è riusciti a fare è stato smantellare, completamente, tutti quegli aspetti di ?protezione?
sociale e di regolamentazione che caratterizzano alcuni mercati. Ma questo è accaduto non perché l?Europa li abbia creati bensì perché il sistema europeo
non li ha smantellati.
Vita: Il capitalismo è eterno?
Marcuzzo: Se lo intendiamo come sistema, no. Non mi risulta che esistano sistemi eterni.

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