Il discorso del Cairo di Obama ha acceso molte speranze. Che per ora sono andate delusedi Susanna Tamimi
Cara Farah Pandit,
mi rivolgo a lei per dirle che non ho dimenticato il suo suggerimento. Come promesso, ho riascoltato con estrema attenzione il discorso del suo presidente al Cairo nel giugno 2009. Ho messo da parte i miei preconcetti e cercato nelle sue parole la speranza per un futuro diverso e possibile per il mio popolo: il popolo palestinese. Ho cercato quella speranza di cui lei mi aveva parlato durante il nostro incontro. Il 4 giugno 2009 il suo presidente è salito sul palco dell’Università del Cairo, salutando il suo pubblico con un caloroso «Salam Aleikum!» (Pace a voi). Parlando di «rispetto reciproco» e «politiche oneste» tra gli Usa e i Paesi arabo-musulmani, ha conquistato l’intera platea e, come poterlo negare, la sottoscritta. Nel suo discorso non ha scordato la Palestina (di nuovo di stretta attualità dopo l’assalto alle navi delle ong dirette verso la Striscia di Gaza). Ha adottato la via diplomatica ma onesta. Ha condannato la costruzione di colonie in Cisgiordania, ha chiesto la fine della “crisi umanitaria” a Gaza e assicurato il suo impegno nell’agire da “garante” per una prossima pace in Medio Oriente, una «pace nell’interesse non solo del popolo israeliano e palestinese, ma dell’umanità intera».
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