Welfare
CARCERE. Ramadan dietro le sbarre per 10mila persone
Sono almeno 10mila i detenuti musulmani che stanno praticando il rito religioso nelle loro celle. Il sindacato Sappe: "Il sovraffollamento può creare tensioni"
di Redazione
Lontani dal proprio Paese e dalla propria gente, senza i piatti tradizionali e la possibilità di ritrovarsi con gli altri fedeli musulmani in Moschea. Così i detenuti islamici in Italia trascorrono dietro le sbarre il Ramadan, il mese dedicato ad Allah, durante il quale si digiuna fino al calar del sole e si fa l’unico pasto del mattino prima che il sole sorga. Si tratta di digiuno completo anche senza assunzione di bevande, un sacrificio necessario per purificarsi. E’ un mese di profonda religiosità vissuta anche dai tanti detenuti musulmani dei penitenziari italiani, anche se con molte restrizioni.
”Su 27mila detenuti stranieri un terzo è di religione islamica”, spiega Donato Capace, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. Quasi 10mila in tutto. Ma come cambia la celebrazione del Ramadan dietro le sbarre? Prima di tutto la mancanza dei familiari nei giorni di festa, il pregare insieme a parenti e amici in Moschea, i cibi tradizionali. In carcere viene comunque rispettata l’alimentazione del fedele musulmano, che si autodisciplina nel mangiare. Ma a preoccupare il sindacato non sono tanto queste restrizioni, quanto lo stato dei penitenziari italiani, saturi allo stremo. In questo mese tanto importante per i detenuti islamici in Italia, evidenzia Capace, ”l’acuirsi della tensione in Afghanistan e in Iraq potrebbe avere delle ripercussioni. In considerazione del sovraffollamento delle celle e dell’elevato numero di detenuti stranieri, tanto più che oggi nei penitenziari italiani vi sono più detenuti di religione islamici che cattolici o aderenti ad altri credi, la cella potrebbe diventare il luogo in cui, sempre più spesso, piccoli criminali sono tentati da membri di organizzazioni terroristiche detenuti”.
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