Non profit

Care imprese sociali state più in guardia: con la recessione il profit vi sta portando via il “social business”

Dopo il IX Workshop di Iris Network

di Redazione

L’impresa sociale, in particolare nella sua forma giuridica più consolidata e diffusa – la cooperazione sociale – sta vivendo la sua prima, grande crisi. Dopo quasi tre decenni di crescita ininterrotta si intravedono segnali di difficoltà, per ora evidenziati dal sentiment degli imprenditori sociali. Quelli coinvolti nel panel Isnet, ad esempio, dal quale emerge che la percentuale di imprese sociali in difficoltà passa dal 15% del 2007 al 39% del 2010. I prossimi dati di bilancio e i saldi occupazionali probabilmente certificheranno, anche con dati oggettivi, lo stato di crisi. Serve quindi un nuovo start up. Nel corso degli anni, infatti, le risorse appaltate dagli enti pubblici hanno limitato il portato di innovazione della cooperazione sociale, riconoscendola più come fornitore di servizi sociali low cost piuttosto che come un modello d’impresa per rifondare su base comunitaria e sussidiaria il welfare.
Da dove ripartire dunque? La IX edizione, appena conclusa, del Workshop sull’impresa sociale organizzato da Iris Network ha puntato sulla figura dell’imprenditore sociale. I dati di una ricerca su un centinaio degli oltre 350 partecipanti all’evento ha fornito più di uno stimolo alla discussione. Imprenditori sociali e aspiranti tali erano infatti chiamati a indicare le competenze che già sentono di possedere e quelle sulle quali vogliono investire nel futuro prossimo.
Emergono tre aspetti. Il primo: è in previsione un “upgrade” delle competenze di carattere relazionale, giocate sia all’interno (team working) che nei rapporti esterni (con gli stakeholder). È un aspetto rilevante perché la creazione e la manutenzione di reti di relazione rappresenta storicamente il “nucleo duro” delle competenze dell’imprenditore sociale, l’aspetto che meglio marca le peculiarità di questa figura rispetto ad altri profili imprenditoriali. L’evoluzione dei sistemi relazionali riguarda soprattutto i rapporti con i portatori di interesse: da un approccio quasi “totemico”, per cui gli stakeholder sono da mappare ad ampio raggio e, ben che vada, da informare con il bilancio sociale, ad uno più pragmatico dove invece con i portatori di interesse (lavoratori, utenti, comunità locale) si negozia. Ed è forse per questa ragione che per gli imprenditori sociali è importante scremare gli stakeholder puntando su quelli con i quali si condivide qualcosa in più di una semplice comunanza di interessi.
Secondo aspetto: si assiste a un cambiamento significativo anche per quanto riguarda l’operatività quotidiana perché si passa da una gestione per progetti a una dove prevale il posizionamento nei mercati. Un bel salto di qualità per persone a cui evidentemente non basta più compilare formulari e rispondere a bandi ma che vogliono entrare in possesso, e alla svelta, di conoscenze più sofisticate e di ampio raggio riguardanti arene mercantili nuove o che si stanno pesantemente ristrutturando.
Il terzo aspetto infine è un limite: poco o scarso interesse per i sistemi informativi e ancora meno per le tecnologie che li supportano, nonostante tutta la recente enfasi sull’impatto sociale delle imprese sociali. Insomma, agli imprenditori sociali dell'”information and communication technology” non sembra importare molto. Peccato, perché l’Ict contemporaneo – quello basato sul web 2.0. – è tutto “social”: collaborativo, accessibile e molto spesso gratuito. Il settore for profit se ne è sono accorto da tempo e infatti sta sviluppando, da par suo, il “social business”.

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