L'appello
Caro Cirque du soleil, a Trieste pianterai il tendone là dove i migranti avevano casa
Il circo più famoso del mondo monterà il suo grand chapiteau nell'area dell'ex silos, fino all'anno scorso rifugio per i migranti in arrivo dalla rotta balcanica. Un «luogo da riqualificare», secondo i proprietari dell'area, che hanno invitato gli artisti. Ma associazioni e cittadini in una lettera aperta già firmata da circa 1.400 persone chiedono che la memoria dell'area non venga cancellata

Questo mese il Cirque du soleil approderà a Trieste col suo spettacolo Alegrìa – In a new light. E pianterà il suo tendone in un luogo molto particolare: l’area dell’ex silos, l’edificio fatiscente nei pressi della stazione che per anni è stato la casa di chi arrivava dalla rotta balcanica, sia persone in transito sia richiedenti asilo che non trovavano spazio nel sistema di accoglienza ufficiale. La zona – che oramai si era strutturata, tanto da avere dei veri e propri settori legati alla nazionalità delle persone che là pernottavano –, era diventata nota in tutta Italia come luogo in cui trovavano riparo i migranti, prima di venir sgomberata il 21 giugno 2024.
Oggi tutta l’area è oggetto di una riqualificazione e l’invito che il Teatro Stabile Rossetti e Coop Alleanza 3.0 – proprietaria del silos –, con il sostegno del Comune di Trieste, ha fatto al circo più famoso del mondo vuole andare proprio in questa direzione. «Con tale operazione abbiamo voluto anche conferire un segnale», ha detto Milva Carletti, direttrice generale di Coop Alleanza 3.0 durante l’assemblea che ha annunciato l’arrivo del Cirque du soleil: «Il silos ha rappresentato un capitolo doloroso per la città; intendiamo ora dargli un profilo nuovo, dimostrando coi fatti, oltre che con le parole, di essere vicini alla nostra base sociale e alla comunità in cui operiamo».
Il silos ha rappresentato un capitolo doloroso per la città; intendiamo ora dargli un profilo nuovo, dimostrando con i fatti, oltre che con le parole, di essere vicini alla nostra base sociale e alla comunità in cui operiamo
Milva Carletti, direttrice generale di Coop Alleanza 3.0
Il silos, tuttavia, non può essere ridotto a uno spazio degradato da risanare. E per ricordarlo le realtà solidali e molti cittadini di Trieste hanno voluto indirizzare una lettera aperta al Cirque du soleil, che al momento conta circa 1.400 firme. Una lettera che non dà colpe ma racconta una storia che chi arriva da fuori Trieste potrebbe ovviamente non sapere, ma che invece è giusto conosca.
Un’altra storia
«Benvenuti, benvenute al Silos», si legge nel testo. «Vi scriviamo per raccontarvi del luogo che abiterete per un mese, che spesso è stato opportunisticamente descritto da istituzioni e media come indegno, di miseria e vergogna. Speriamo che troverete il tempo per ascoltare un’altra storia, un’altra versione dei fatti».
Il silos ha una lunghissima storia. «Alla metà del 1800, quando la città non era ancora italiana, nasce come magazzino di stoccaggio», racconta Francesco Cibati di Linea d’Ombra, associazione della rete solidale di Trieste che dà supporto alle persone in arrivo dalla rotta balcanica, «ma poi ha avuto una serie di vite differenti. È stato un campo di smistamento in epoca nazista. Poi è stato rifugio per gli esuli istriani e in seguito è rimasto inutilizzato. A partire dal 2015 ha dato nuovamente accoglienza a moltissime persone migranti. È un luogo che ha un fortissimo valore simbolico. Ora sembra quasi che se ne voglia cancellare la memoria».

Se è vero che il silos aveva problematiche igieniche e sanitarie – la struttura era fatiscente e di notte molti lamentavano di essere morsi dai topi, per esempio –, è altrettanto vero che era l’unico riparo per chi si trovava senza un tetto sopra la testa, ad attendere un’accoglienza che non si sapeva quando sarebbe arrivata. Negli anni in cui è stato utilizzato, centinaia di persone sono entrate in questo spazio e hanno condiviso esperienze, cibo, attesa, vita. «Quello che temiamo è che ora con la riqualificazione l’area di Porto vecchio (quella in cui si trova il silos, ndr) diventi luogo turistico, di performance, di spettacolo», continua Cibati, «affinché venga fruito da una società che non è attenta agli ultimi e agli emarginati. Il biglietto del Cirque du Soleil, per esempio, te lo devi permettere. Questa zona era un luogo in cui per molto tempo c’è stata cura dell’altro, di chi era fragile. Non vorremmo che si trasformasse in un altro polo turistico incentrato solo sul profitto».
Ci piacerebbe che qualche artista circense faccia uno spettacolo fuori dal tendone per le persone migranti, oppure che vengano dedicati dei biglietti ai richiedenti asilo in attesa di entrare nel sistema di accoglienza.
Francesco Cibati, Linea d’ombra

L’obiettivo della lettera aperta? Non creare conflitto, ma aprire un dialogo con gli organizzatori e con il Cirque du soleil. «Volevamo attirare un po’ l’attenzione sul tema e penso che ci siamo riusciti vista la quantità di firme raccolte e di associazioni coinvolte», commenta Cibati. «Poi vorremmo avere un confronto costruttivo, per includere anche la memoria di questo luogo e le persone che l’hanno abitato nella programmazione. Ci piacerebbe, per esempio, che qualche artista circense faccia uno spettacolo fuori dal tendone per le persone migranti, oppure che vengano dedicati dei biglietti ai richiedenti asilo in attesa di entrare nel sistema di accoglienza. Ci sono molti modi per collaborare, non vogliamo imporre nulla, solo proporre di accogliere la storia e la memoria del silos».
Le foto nell’articolo sono di Andrea Vivoda
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