Sono stato in carcere, a Bollate, a scoprire la bellezza. La mia guida, in quella casa infinita, è stata Susanna Magistretti, figlia del celeberrimo architetto Vico, che da quasi tre anni ha scommesso su un progetto coraggioso: fare un giardino, con tanto di serre, roseto, orto e frutteto dentro al carcere. Con lei 18 volontari e 7 detenuti che lavorano con piante sconosciute ai più, in particolare erbacee annuali e perenni. Questa realtà si chiama “Vivaio Cascina Bollate”, hanno anche un sito e uno spaccio interno dove rivendono al pubblico pezzi da giardino introvabili. «Guarda questa», mi dice indicandomi un’erbacea argentea che colpisce subito lo sguardo, «sembra un gatto accovacciato: è bellissima». Già, la bellezza come strumento redentivo, ma anche la misura di una responsabilità, la cui cura porta a soddisfazioni ma anche fallimenti. «Ma ti senti libero in quel rapporto: l’ho letto anche nelle memorie di Mandela quando racconta che la sua vita in carcere è cambiata il giorno in cui ha avuto da accudire una pianta», mi dice Susanna. Per arrivare a questo risultato (12mila metri quadrati coltivati, 2mila rose e 90mila erbacee), il suo percorso è stato arduo: da copywriter in pubblicità fino ai corsi all’estero come il “Chelsea Phisic Garden” e l’esclusivo “Les Jardins d’Aujourd’hui” in Francia: lei è l’unica italiana ammessa da questa associazione che promuove la terapia del giardinaggio per chi è in gravi difficoltà. Ma la sua attività si estende anche alla creazione di giardini fuori dal carcere, aiutata sempre dal medesimo staff. E dire che tutto era iniziato come un hobby. Poi la grande intuizione che la vita che proviene dalla terra poteva essere uno strumento per capire se stessi. E quel giorno di giugno, uscito dal carcere, dopo un’ora di chiacchiere, di visite, di verifica che intorno a quei fiori e frutti (sono già mature le albicocche) c’è entusiasmo e partecipazione alla vita, ci si sente confortati. È proprio vero che il gusto e la bellezza salveranno il mondo.
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