Cultura

“Centroamérica”, il teatro getta luce sulla storia presente

Per il festival Life di zonaK è arrivato a Milano lo spettacolo del collettivo messicano Lagartijas Tiradas al sol. Un’indagine avvincente e sincera attorno a un pezzo di America su cui è calata una cortina di silenzio

di Giuseppe Frangi

Osservandolo dal Messico, il Centroamerica appare come un territorio intrappolato tra due confini complicati: da un lato il Darién Gap, una giungla densa e impenetrabile al confine tra Colombia e Panama; dall’altro i margini di Belize e Guatemala che, a causa della pressione statunitense sul Messico, sono stati militarizzati divenendo un ostacolo violento per i migranti. Specchio di ciò che le accade intorno, rappresenta anche una premonizione sul futuro. 

Visto dal Messico questo pezzo di America è «un insieme di sette paesi, una denominazione, un’intenzione poetica, uno stigma». Sono parole del collettivo teatrale Lagartijas Tiradas al sol, compagnia teatrale messicana attiva dal 2003 e che ha portato i suoi lavori in tutto il mondo. Dopo essere stati a Roma per il Festival Teatro Europa sono arrivati a Milano nell’ambito del Festival Life promosso dall’Associazione Zona K presentando lo spettacolo che è nato proprio partendo da questa consapevolezza di un “buco nero” di conoscenza rispetto alla realtà dei paesi a Sud del Messico. Il teatro nella filosofia di Lagartijas Tiradas al sol non può eludere niente, quindi neanche una questione come questa. 

È da questa sfida che è nato uno spettacolo affascinante e anomalo come Centroamérica. Due autori e attori decidono di esplorare la realtà a loro sconosciuta per trovare una traccia da tradurre in spettacolo. L’appiglio viene fornito loro dalla conoscenza di una donna nicaraguena espulsa dal suo paese, schiacciato dal regime sandinista: lei compare solo di spalle in un video che ci viene proposto a successivi spezzoni.

Nel frattempo sul palco si svolge il resoconto amaro e ironico del viaggio compiuto dai due protagonisti, passando da un paese all’altro e trovandosi a fare i conti con contraddizioni inaspettate e a volte inspiegabili. La sensazione è che il progetto sia destinato ad insabbiarsi, rendendo ancor più drammatica la domanda di fondo sul senso del teatro, se il teatro non sa dire una parola davanti ad una situazione come questa, che investe il destino e la vita di milioni di persone.

È però proprio a questo punto che Luisa mette sul tavolo la sua irriducibile fede nel teatro. Maria, nome di comodo per non scoprire l’identità dell’esule nicaraguena, nell’intervista aveva manifestato il suo grande dolore per non aver potuto accompagnare il fratello malato di Covid nei suoi ultimi giorni e il desiderio che il suo corpo potesse essere dissepolto e messo nella tomba dove riposava la loro mamma. Luisa, novella Antigone, allora decide di mettere in gioco la finzione del teatro per arrivare all’obiettivo: era questa la traccia che  stava cercando invano… Quindi entra in Nicaragua e una volta superati i controlli e arrivata alla meta si toglie i suoi panni e si traveste da Maria, con tanto di parrucca bionda, per affrontare tutte le pratiche necessarie allo scopo. Insomma interpreta il personaggio della donna esule, facendo leva sul suo mestiere di attrice, rendendosi credibile a interlocutori molto minacciosi. Si cala davvero in Maria, arrivando a recitare anche la preghiera a cui lei era legata.

La fine, molto sorprendente, non è svelabile, ma suona come controprova di come il teatro possa davvero avere ancora a che fare con la vita. Un’equazione che alla fine conquista tutti, e anche un po’ commuove, proprio per la sincerità, in una fantasmagoria molto latina di colori e di luci, con cui viene proposta e portata sulla scena. 

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.