Cultura

Che guaio,la felicità che diventa un idolo

L'euforia perpetua, di Pascal Bruckner, Garzanti, 14,98 euro (recensione di Domenico Stolfi)

di Redazione

Che cosa hanno in comune il marketing e il Dalai Lama, la politica spettacolo e il Prozac, il body building e la Borsa, un resort alla Maldive e gli hobbit del Signore degli Anelli? Secondo Pascal Bruckner (L’euforia perpetua, Garzanti, 14,98 euro) sono tutti figli e strumenti di un?ideologia che, da circa mezzo secolo, impone il dovere di essere felici, considerando ogni cosa unicamente nell?ottica del piacevole o dello spiacevole. Ma se della felicità si fa un imperativo categorico, la conseguenza è quella di creare dei dannati della gioia, dei forzati del piacere: dei piccoli inferni con le armi del paradiso. Va da sé che il culto della felicità per prosperare abbia dovuto rimuovere, negare e occultare la sofferenza e il disagio, marcare d?infamia la fatica di vivere. E tuttavia, il dolore imbavagliato risorge proprio là dove l?impero dell?euforia credeva di aver innalzato recinti invalicabili. Il culto del fitness genera anoressia, le amabili scempiaggini dei supermarket dello spirito creano beoti cagnolini scodinzolanti, e così via. Che fare? Il consiglio di Bruckner è di lasciare agli intossicati dell?Eden i loro dogmi e di dare a ciascuno la libertà di non essere felice senza provarne vergogna; oppure di esserlo saltuariamente. Non decidere, non legiferare, non imporre. Se non si vuole che una legittima aspirazione degeneri in castigo collettivo, lo spietato idolo della felicità bisogna trattarlo con estrema disinvoltura.

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