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Cir: L’Italia nega i diritti ai rifugiati

Oggi 20 giugno è la Giornata mondiale dell'Onu dedicata ai profughi. La onlus dedicata a facilitare la loro accoglienza spiega come (non) funziona nella realtà italiana

di Redazione

Giovedì 20 giugno 2013: è la Giornata mondiale delle Nazioni unite per i diritti dei profughi, coloro che fuggono da guerre o persecuzioni cercando asilo in altre zone del mondo più sicure, spesso lasciando affetti e dovendo ricominciare una nuova vita in un luogo sconosciuto con pochi mezzi a disposizione.

La maggior parte degli Stati occidentali ha, nel tempo, promosso programmi di accoglienza: nell’Unione europea, in generale, ogni richiedente asilo che non ha mezzi di sostentamento ha diritto a forme materiali di accoglienza. In Italia un richiedente asilo dovrebbe essere accolto nel sistema SPRAR, gestito dal Ministero dell’Interno in convenzione con l’Anci,, un sistema di accoglienza diffusa con servizi che facilitano l’integrazione degli ospiti. "Attualmente lo Sprar offre nel 2013 solamente 3.700 posti distribuiti in 151 centri di accoglienza, un numero numericamente insufficiente, e non solo quando si presenta un particolare afflusso come nel caso dell’emergenza Nord Africa.  Questi posti dovrebbero a breve essere aumentati a 5mila", riporta il Cir, Centro italiano per i rifugiati, che opera da anni per garantire ai migranti in fuga le condizioni per far valere i propri diritti nel paese ospitante. 

I richiedenti asilo che non trovano posto nello Sprar vengono accolti nei CARA, a diretta gestione del Ministero dell’Interno e delle Prefetture. Secondo la legge l’accoglienza in questi centri dovrebbe essere o per il tempo strettamente necessario al passaggio nello Sprar o quando un richiedente asilo è stato fermato per aver eluso o per aver cercato di eludere i controlli alla frontiera. In ogni modo la permanenza nei Cara non dovrebbe superare i 35 giorni. "Nella prassi molte persone rimangono anche più di un anno in questi grandi complessi che sono allestiti in strutture prima dedicate ad altre funzioni, da ex edifici industriali a ex aree aeroportuali militari, attrezzati nella maggior parte dei casi con container e prefabbricati", specifia Cir onlus. "Qualora non ci sia posto né nel circuito dello Sprar né in quello dei Cara, la legge prevede i richiedenti asilo ricevano un contributo economico giornaliero dalle prefetture. Contributo che, come Cir, non abbiamo mai visto distribuire".

“Quello che sta succedendo in Italia è una gravissima violazione dei loro diritti di accoglienza. La legge italiana è chiara: prevede che ogni richiedente asilo che arriva in Italia senza adeguati mezzi di sostentamento ha diritto a forme materiali di accoglienza sin dal momento in cui presenta domanda di protezione. E’ grave che persone che hanno diritti riconosciuti passino mesi per strada.” dichiara Christopher Hein, direttore del Cir. “Il sistema di accoglienza italiano è al collasso, non ha più posto per inserire richiedenti asilo e sono molti anche i rifugiati che si trovano esclusi. Ma questa non è una colpa dei richiedenti asilo e non devono pagare loro le responsabilità di un Sistema d’asilo insufficiente. Se non ci sono posti d’accoglienza che le Prefetture riconoscano loro, come previsto dalla legge, il contributo economico. Stiamo assistendo a una sistematica violazione della normativa e dei diritti previsti in Italia e in Europa”.

Sono poche ma concrete le raccomandazioni del Cir al governo italiano in tema di rifugiati: garantire che la fase dell’accoglienza sia riconosciuta come parte integrante del percorso di integrazione che deve pertanto iniziare dal giorno dell’arrivo; assicurare a tutti i richiedenti asilo che arrivano in Italia il sicuro accesso a forme materiali di accoglienza dalla presentazione della domanda d’asilo; mantenere certo il passaggio per tutti i richiedenti asilo dalla prima accoglienza fornita nei centri governativi, che deve rispettare il limite temporale previsto dalla legge per un massimo di 35 giorni, a una seconda accoglienza erogata all’interno del sistema Sprar, che deve essere fortemente potenziato in termini di capacità ricettiva; garantire il diritto all’accoglienza verso l’integrazione dovrà essere garantito per un periodo minimo di un anno dal riconoscimento della protezione, periodo durante il quale la persona dovrebbe avere accesso a un Programma nazionale per l’integrazione lavorativa, alloggiativa, sociale e culturale.

Per rendere ancora più chiara la problematica attuale, il Consiglio italiano dei rifugiati ha diffuso in occasione della Giornata Onu due vicende personali, una a Roma e l'altra a Gorizia, di un ragazzo afgano e una donna pachistana.

Una storia a Roma
"Ahmed arriva dall’Afghanistan, ha 22 anni.  E’ un ragazzo provato, se sente parlare con un tono di voce più alto trema. E’ chiaramente una persona vulnerabile e ha bisogno di sostegno. Fa richiesta d’asilo alla Questura di Roma il 30 aprile. Da quel momento ha diritto ad avere un’accoglienza in Italia. Ma la questura nemmeno lo informa di questo diritto. Lo invita a ritornare il 21 maggio per formalizzare la sua domanda d’asilo, solo da quel momento per l’interpretazione della Questura di Roma Ahmed sarà considerato un richiedente asilo. Ma anche in quel giorno nessuno gli dice che se non ha soldi può essere accolto in un centro dedicato. Per la legge la Questura dovrebbe mandare una richiesta di accoglienza alla Prefettura che dovrebbe immediatamente trovare un posto o dare un sostegno in denaro. Senza questa segnalazione non scatta nessun diritto. Ahmed si era però presentato prima allo sportello del CIR il 16 maggio e il CIR aveva inviato direttamente alla Prefettura una sua richiesta di accoglienza, cambiando e invertendo la procedura definita dalla legge. Ma anche la prefettura non dà, purtroppo, alcuna risposta pronta. Gli dice di tornare il 27 maggio. E poi di nuovo gli da un nuovo appuntamento il 5 giugno. Ahmed prova anche a chiedere posto al Comune di Roma, all’Ufficio Immigrazione di Via Assisi, che gli dice che però c’è una lista di attesa di 5 mesi. Ahmed nel frattempo vive in condizioni di estrema precarietà, prima in un tendone a Tormarancia dove per un periodo breve persone in difficoltà possono trovare un posto letto. Ma scaduto questo tempo entra di nascosto nel tendone, per non dormire la notte per strada. Solamente il 7 giugno, dopo 38 giorni, trova un posto in un centro di accoglienza. Senza l’intervento e la segnalazione alla Prefettura fatta dal CIR Ahmed non avrebbe neanche idea di avere diritto a un posto e non starebbe ora in un centro.

Una storia a Gorizia
N. arriva da sola del Pakistan e ha 34 anni. E' chiaramente provata dal lungo e faticoso viaggio. Quando entra in Italia, il 3 giugno, si reca immediatamente alla Questura di Gorizia per chiedere la protezione internazionale. E' sera e la Questura le da appuntamento per il giorno successivo per la formalizzazione della domanda e, non considerandola ancora una richiedente asilo, la invia presso una struttura che accoglie donne con bambini nell'ambito del progetto SPRAR di Gorizia per chiedere un posto per la notte, che non può avere. Il giorno successivo N. si presenta alla Questura, formalizza la sua domanda e la Questura la avvisa che non c'è posto per lei in nessun CARA in Italia, la invita quindi a tornare l'11 giugno per verificare la disponibilità di un alloggio. Nessuno le chiede dove dormirà e mangerà nei prossimi giorni. Lo stesso giorno N. si reca allo sportello del CIR che l'ha aiutata a trovare un ricovero per la notte.Il CIR trova posto per la donna in un albergo a poco prezzo, grazie all'intervento di Caritas Diocesana Gorizia che si fa carico delle spese. L'11 giugno la signora ritorna in Questura: nei CARA non c'è posto e Caritas non può pagare ancora l'albergo. La donna resta per strada.  Il 13 giugno il CIR viene contattato dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Gorizia che segnala che la signora ha dei problemi di salute e che verrà inviata al Pronto Soccorso. La Commissione Territoriale, per cercare di aiutare la signora, fissa l'intervista per il riconoscimento alla settimana successiva. Nel frattempo la signora non avrà accoglienza, è stata dimessa anche dall’ospedale.

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