Verso il referendum

Cittadinanza, perché è sbagliato votare “No”

Dal "rischio indiscriminato" al "merito": così i rappresentanti di organizzazioni che ogni giorno lavorano coi migranti smontano le argomentazioni più diffuse di chi si appone alla riduzione dei tempi di attesa per la cittadinanza ai migranti regolari

di Francesco Crippa

Tra meno di quattro giorni i cittadini italiani saranno chiamati a decidere, tramite referendum, se dimezzare o meno i dieci anni di residenza continuativa che uno straniero deve passare nel nostro Paese prima di poter richiedere la cittadinanza. Tra affermazioni strumentali e dati inesatti, l’avvicinamento alle urne assomiglia a una corsa a ostacoli. «Non condivido il contenuto di nessuno quesiti referendari, ma quello più pericoloso è quello che estenderebbe la cittadinanza a centinaia di migliaia di persone in maniera indiscriminata», ha detto per esempio il segretario della Lega Matteo Salvini. Un’affermazione sbagliata due volte. Primo, perché non è vero che l’estensione sarebbe indiscriminata, dato che per ottenere la cittadinanza bisogna rispettare anche altri requisiti: fedina penale pulita, livello reddituale e conoscenza della lingua. Secondo, perché non si estenderebbe proprio nulla, dato che la cittadinanza è una concessione fatta dallo Stato dopo un attento esame e non un diritto che viene esteso, come potrebbe essere, per capirci, abbassare l’età per votare a 16 anni. Insomma, errori grossolani, specie se a farli chi prima di fare il ministro dei Trasporti ha guidato il dicastero degli Interni, che ha competenza in materia.

Le affermazioni comparse nel dibattito pubblico che spingerebbero a votare “No”, comunque, sono diverse. Abbiamo provato a raccoglierne alcune, cercando di commentarle, smontandole, con i rappresentanti di alcune ong e associazioni che si battono per i diritti umani.

La legge è bilanciata e si concedono tante cittadinanze ogni anno

Si sente spesso, per esempio, che non ha senso intervenire perché “l’Italia concede già tante cittadinanze”, soprattutto in confronto agli altri Stati europei. Posto che non si capisce il nesso logico che lega il numero di concessioni attuale al “No”, dato che non esiste una soglia limite da non superare o una media cui attenersi, per Francesco Ferri, esperto di migrazione di ActionAid, si tratta di un punto del tutto strumentale, sbagliato da un punto di vista metodologico. «Si prendono dei dati e vengono diffusi come se fossero assoluti, ma ciascun dato va letto in quadro sistemico», sottolinea. «L’Italia concede tante cittadinanze rispetto ad altri Stati perché mancano degli istituti di riconoscimento anticipato. Se la cittadinanza venisse concessa, per esempio, con la nascita oppure dopo il completamento di un ciclo scolastico i numeri di ogni anno potrebbero essere inferiori, come nei Paesi in cui questo avviene. Allo stato attuale delle cose, invece, i nostri dati non fanno altro che fotografare ondate migratorie (e i loro figli) di tanto tempo fa».

L’argomento è delicato, meglio discuterne in Aula

Un altro dei punti più utilizzati dalla destra per spingere a votare “No” è che, trattandosi di materia così importante, conviene che se ne discuta in Parlamento e non che lo si porti a referendum. Un modo, questo, per buttare la palla in tribuna e lavarsene le mani. «Da un punto di vista tecnico», spiega Marco Chiesara, avvocato e presidente di WeWorld, «la materia non è esclusa da quelle che possono essere sottoposte a referendum e già questo dovrebbe bastare. E poi ci sono dei vantaggi nel sottoporre la questione al vaglio popolare, perché col referendum i cittadini danno un indirizzo: se prevale il sì, allora la necessità di portare la discussione in Parlamento ne uscirebbe rafforzata». Per Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci, attendere che il cambiamento arrivi dal legislatore «è una sciocchezza che si scontra con la realtà», perché «negli anni abbiamo visto che nessuno è riuscito a portare a casa niente. Il Parlamento è vittima dei ricatti non solo della destra, ma anche di alcune parti del centrosinistra che ha paura degli elettori».

Diventare cittadini italiani? Bisogna meritarselo

Tra i più importanti argomenti sbandierati dal partito del “No” c’è poi quello secondo cui la cittadinanza è il punto di arrivo di un percorso, non di partenza, e per questo va meritata. «Quest’affermazione non ha senso, perché la cittadinanza rimarrebbe una concessione anche dopo il referendum, semplicemente un po’ anticipata», sostiene Laura Liberto, responsabile della rete Giustizia di Cittadinanzattiva. «In più, non c’è nessun requisito “di merito” per averla, se non criteri empirici fissati dalla legge, quindi mi sembra un argomento molto strumentale», aggiunge. «Come Stato, non abbiamo mai formalizzato cosa voglia dire “essere italiani”», le fa eco Ferri di ActionAid, «per cui dire che bisogna meritarsi la cittadinanza è una pretesa astratta ma al tempo stesso cogente per gli stranieri». 

Collegato a questo punto c’è quello secondo cui, proprio perché la cittadinanza è un traguardo, accorciando il periodo dopo cui poterla richiedere svilirebbe il valore e la portata dell’integrazione. Tutto il contrario, sostiene Ferri. «Semplificando l’ottenimento si facilita la collocazione nel mondo del lavoro, si evita di costringere le persone a lunghissime file per il permesso del rinnovo di soggiorno o altre faccende burocratiche, gli si dà l’accesso a numerosi servizi». Insomma, si crea un’integrazione vera e concreta

In apertura: “SìAmo Italia”, manifestazione del comitato promotore del referendum sulla cittadinanza a Roma, 2 Giugno 2025 (foto Mauro Scrobogna/ LaPresse).

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